Chi narra le storie della Palermo dei secoli passati non può dimenticare di raccontare di una donna vissuta nella seconda metà del 18esimo secolo: Giovanna Bonanno, catturata, processata per stregoneria e condannata alla forca per aver venduto misture letali a base di acqua, arsenico e vino bianco.
Di lei, detta “la megera palermitana” o anche “la vecchia dell’aceto”, non si conosce la data di nascita, ma si stima che quando venne impiccata, il 30 luglio del 1789, dovesse avere 80 anni.

Giovanna vendeva la sua pozione a donne insoddisfatte che volevano liberarsi dei mariti senza destare sospetti. Una miscela di acqua, vino bianco ed arsenico, che veniva chiamata “aceto” e che i droghieri vendevano come soluzione contro i pidocchi.
Acqua miracolosa la chiamava lei, un metodo pulito per ridare la libertà a chi si sentiva soffocare da un opprimente vincolo matrimoniale. Quando il marito di una sua vicina, a cui aveva venduto tre dosi del suo “arcano liquore aceto” (la prima dose era stata calibrata male e l’uomo se l’era cavata con un banale mal di pancia) era morto senza che i medici riuscissero a risalire alle cause del decesso, la donna prese la certezza che nessuno l’avrebbe mai scoperta e durante tre anni operò indisturbata.

Ironicamente, Giovanna venne scoperta per un “eccesso di morale”, quando venne a sapere che una dose di veleno consegnato alla sua procacciatrice di clienti sarebbe servita ad ammazzare il figlio di una sua conoscente. Contando sull’amicizia con quest’ultima, che sicuramente l’avrebbe capita e messo ogni cosa a tacere, Giovanna l’avvertì prima che il figlio venisse avvelenato. La reazione della donna non fu però quella sperata. Giovanna Bonanno fu denunciata e catturata e il suo processo per stregoneria iniziò nel 1788 davanti alla Corte capitanale di Palermo. A testimoniare contro di lei furono chiamati i coniugi che erano sopravvissuti ai tentativi di avvelenamento e il droghiere che, ignaro, le vendeva regolarmente l’aceto per i pidocchi.

Nel corso del processo Giovanna ammise di aver venduto dosi della mistura velenosa a donne che si erano rivolte a lei perché insoddisfatte della vita loro coniugale. Le sue vittime non furono molte ma bastarono per farla condannare alla forca. I resoconto storici riportano sei morti. Fra i suoi clienti vi era stato anche un uomo, un fornaio che ottenuta la pozione avvelenò la moglie ma poi si rifiutò di pagare la pozione alla Bonanno, negando di averla mai conosciuta e di aver mai ricevuto da lei alcun veleno.