Mentre nelle sale cinematografiche è in cartellone The social network, la storia della creazione di Facebook, andiamo a riesumare dagli archivi del web “Prigioniero di Facebook”, un articolo apparso su Il Sole 24 Ore nel novembre 2008, un pezzo divertente firmato da Andrea Bajani e del quale riportiamo alcuni brani.

“Da settimane incontro soltanto persone che mi dicono disperate che vogliono uscire da Facebook ma non riescono a farlo. Lo dicono con gli occhi sbarrati e l’espressione di chi chiede aiuto da dietro le inferriate di una galera.
È strano pensare che quelle stesse persone fino a un mese fa mi dicevano che senza Facebook non ci potevano stare, che grazie a Facebook si sentivano meglio. C’erano amici che quando mi incontravano per strada mi chiedevano «Ci sei su Facebook?». Che era come dire «È inutile perdere tempo qui sul marciapiede, con le macchine che passano, i clacson che non ci fanno parlare, il telefonino, la fretta». «Ci sei su Facebook?», e poi mi piantavano in asso.

Così sono entrato pure io. L’ho fatto un po’ per sfinimento e un po’ per riuscire a parlare con quegli amici che per strada mi piantavano in asso dandomi poi appuntamento su Facebook.
Di Facebook sapevo quasi tutto quel che c’era da sapere. Sapevo che si trattava di aprirsi una pagina personale, di scegliere una foto, di inserire qualche informazione su di me, la mia data di nascita, il mestiere, le mie passioni. Lo sapevo perché un’amica mi aveva fatto vedere la sua pagina. Quando l’avevo vista avevo capito che si trattava di aprirsi una specie di loculo, una tomba con la foto che guarda in faccia i passanti, che appunto passano e se hanno voglia lasciano dei bigliettini, cambiano l’acqua dei fiori. Appena ha saputo che ero entrato anche io, la mia amica era contenta e orgogliosa.

All’inizio mi arrivavano molte «richieste di amicizia» e io le ignoravo perché non sapevo chi fossero queste persone. Poi la mia amica mi ha detto che la regola di Facebook era di accettare le «richieste di amicizia», e che dunque la mia condotta era una condotta antisociale. Così da quel momento in poi ogni volta che mi è arrivata una richiesta io ho accettato.
In due mesi sono diventato per così dire amico di quattrocento persone di cui non sapevo nulla, e di cui ora conosco la foto che hanno messo sul loculo e poco più. Mi sono trovato a conversare a notte fonda con uomini e donne che mi trattavano come se fossi il loro migliore amico, o mi maltrattavano come il peggior nemico. Mi sono visto tacciare di snobismo per non aver risposto, insultare per aver tardato ad accettare una così detta amicizia.

Dopo due mesi così ho chiesto disperato ai miei amici di uscirne. E loro disperati, con gli occhi sbarrati, mi hanno detto che non sanno come fare, che ci hanno provato ma non capiscono come si fa, quale procedura si debba seguire. Ne parliamo su Facebook, ciascuno dietro la propria inferriata, le braccia oltre le sbarre a rimestare nell’aria.”