Il Dipartimento della Giustizia statunitense ha avviato una causa legale contro la società petrolifera inglese British Petroleum e altre otto società, fra cui la Transocean, per ottenere il pagamento di tutte le spese occasionate dalla marea nera nel Golfo del Messico.

La minaccia era nell’aria da qualche tempo e giunge proprio quando la BP inizia a rimettersi in sesto dopo il disastro che la sua piattaforma petrolifera, la Deepwater horizon, ha causato nel Golfo del Messico.
La notizia della procedura penale avviata dal governo di Washington è stata confermata da Eric Holder, il General Attorney dell’amministrazione Obama (l’equivalente del ministro della giustizia, ndr).
La causa verte in particolare sul “U.S. Clean Water Act and Oil Pollution Act”: le nove società sono accusate di disastro ambientale, di fallimento nel prevenire il disastro tramite appropriate misure di sicurezza, di fallimento nel garantire la necessaria sicurezza al proprio personale (nell’esplosione della piattaforma erano morti 11 operai) e di fallimento nel gestire il disastro.

Nel caso gli Stati Uniti vincessero la causa (i collegi di difesa delle nove società sotto accusa stanno già affilando i coltelli), sia la BP che le altre compagnie dovranno farsi carico di tutti i costi per la pulizia delle acque e del litorale inquinati dal greggio che per mesi è uscito dal pozzo sottomarino danneggiato. Una spesa alla quale non viene messo un tetto e che queste società sarebbero chiamate a risarcire sino all’ultimo centesimo, pagando sino a 4’300 dollari per ogni barile versato in mare.
Per le operazioni di pulizia la BP ha già dovuto pagare quasi 30 miliardi di dollari.