La votazione po­polare sulle armi pone una questio­ne sempre più at­tuale nella nostra società: quella del rapporto tra liber­tà e sicurezza. Fino a che punto l’esi­genza di garantire la sicurezza delle persone e delle cose – compito questo af­fidato allo Stato tramite il monopolio della forza – può spingersi nel limitare la libertà dei cittadini? Da che punto la re­sponsabilità individuale non è più con­siderata sufficiente per evitare che com­portamenti singoli mettano a repenta­glio la sicurezza di ciascuno di noi? E in­fine, quanto può l’irresponsabilità di po­chi mortificare la responsabilità dei mol­ti? Possiamo arrivare fino ad estendere la sfiducia verso tutti quale misura di prevenzione?

Le democrazie sono spesso confrontate con decisioni, grandi e piccole, che si pon­gono proprio di fronte a questi dilemmi. Non sono temi riservati alle discussioni sui massimi sistemi. Nel nostro modello di democrazia semidiretta lo constatia­mo molto spesso. L’iniziativa «per la pro­tezione dalla violenza causata dalle ar­mi» è un caso esemplare. Il dibattito aper­to dalla proposta in votazione, il nume­ro delle prese di posizione e degli inter­venti sui giornali ci dicono che è una pre­occupazione molto sentita, al di là del­l’emotività che ruota attorno al tema del­la violenza contro le persone. E questo è comunque positivo per la democrazia.
Si vorrebbe dunque limitare la libertà di tenere armi in casa con le adeguate misure di sicurezza. Cittadini, militi, tiratori, collezionisti dovrebbero rinun­ciare a questa libertà perché ritenuti non abbastanza responsabili e non al riparo dal rischio che una loro arma possa un giorno venir utilizzata, da lo­ro stessi o da membri della loro fami­glia, per perpetrare atti di violenza. Questa imputazione diretta, persona­le, del rischio e la sua generalizzazio­ne sono il risvolto più urtante e offen­sivo dell’iniziativa, anche per chi non ha la passione delle armi. Sarebbe co­me limitare drasticamente l’uso del­l’automobile, concedendolo solo a chi ne dimostri l’assoluto bisogno, perché vi è una minoranza di automobilisti che di tanto in tanto scambia le nostre strade per un circuito di formula uno e causa incidenti mortali.

Proviamo ad immedesimarci con il col­lezionista o il tiratore o il semplice cit­tadino responsabile che da anni custo­disce con cura le sue armi a casa, nel pieno rispetto delle leggi e della sicu­rezza altrui, armi che non hanno quin­di mai offeso nessuno. Tutt’a un tratto, una legge dello Stato gli verrà a dire che lui, quelle armi, non le può più te­nere in casa: non ha fatto del male a nessuno e a lui personalmente non si rimprovera nulla, però ora quegli ar­nesi sono un pericolo per la comunità. E per il «bene di tutti» ora il suo senso di responsabilità ed il suo personale ri­spetto delle leggi non bastano più; an­zi, non contano più nulla. Le sue ar­mi, lì a casa sua, sono una minaccia che lui non può più controllare. Que­sta è la portata dell’iniziativa: un cu­neo conficcato senza alcun rispetto tra lui e la sua libertà responsabile.

Qui non si tratta di decidere se intro­durre una nuova libertà o un nuovo diritto: si tratta invece di decidere se sopprimere o limitare drasticamente una libertà e un diritto esistenti da tem­po, che fanno parte di una nostra tra­dizione e sostanziano il reciproco rap­porto di fiducia tra lo Stato e il citta­dino. Sono due questioni molto diver­se. Il no ad una nuova libertà pesa as­sai meno dello stralcio di una libertà consolidata: il primo è un’aspirazione svanita, il secondo è una ferita profon­da nel corpo della società.

La nostra democrazia diretta è stata per decenni il terreno di battaglia per l’introduzione di nuovi spazi di libertà o per l’allargamento degli spazi di li­bertà esistenti. Un bene preziosissimo che molti ci invidiano. Da diversi anni è purtroppo divenuta un’arena in cui ci si scontra quasi esclusivamente su proposte tese a limitare le libertà così faticosamente conquistate in passato, anche quelle più elementari, in nome dell’utopia di una società senza rischi. E il risultato non sarà una – impossi­bile – società senza rischi, ma una so­cietà in cui la responsabilità individua­le perde qualsiasi peso, con i rischi che ne conseguono.

Se l’irresponsabilità di pochi prevale sistematicamente sulla responsabilità dei molti si arriva anche al ribaltamen­to di una delle regole basilari della de­mocrazia: la regola di maggioranza. Un principio che non va certo applica­to meccanicamente in ogni ambito e per ogni circostanza, ma non va nem­meno banalizzato e strattonato fino al punto da venir svuotato della sua so­stanza e della sua pregnanza. Non pos­siamo in altre parole instaurare a po­co a poco una società governata, cioè limitata nelle sue libertà, dai rischi por­tati da una ristretta minoranza di per­sone che non rispettano le regole volu­te dalla maggioranza dei cittadini li­beri e responsabili.

Marina Masoni
già Consigliera di stato