Evento storico o meno, la rivolta popolare in Egitto non è una buona cosa per l’economia del paese. Secondo l’agenzia Standard and Poor’s, l’instabilità politica e i disordini rallenteranno la crescita economica del paese e pregiudicheranno le finanze pubbliche. I rischi per l’economia sono reali e non andrebbero sottovalutati.

Non si deve comunque essere analisti economici per accorgersi di cosa sta succedendo già dopo una sola settimana di proteste. Nella città del Cairo, epicentro della rivolta, da tre giorni banche e negozi sono quasi tutti chiusi, così come la maggior parte delle stazioni di benzina.
I turisti se ne stanno andando, un duro colpo per il settore del turismo che rappresenta l’11% del prodotto interno lordo. Molte sono le aziende straniere (fra le quali anche la Nestlè) che hanno chiuso e rimpatriato i propri collaboratori. Quando tornerà la calma le loro attività certamente riprenderanno, ma nel frattempo rimane tutto bloccato.

Il vero rischio per il paese potrebbe venire da un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, che già al costo attuale sono fuori dalla portata del 20% della popolazione, la quale vive al di sotto della soglia della povertà e appena accessibili per un altro 20%, che si situa appena al di sopra di questa soglia. Un aumento dei prezzi potrebbe far piombare anche questo 20% nella povertà assoluta.
Hosni Mubarak queste cose le sa e per questo nei suoi discorsi televisivi promette di migliorare le condizioni di vita dei suoi compatrioti. Se davvero lo farà, lo Stato aumenterà le sovvenzioni ma questo potrebbe significare, allo stato attuale in cui versa l’economia egiziana, l’aumento del rischio inflazione e un disastroso effetto sulle finanze pubbliche.

Vi è inoltre il blocco di Internet, decretato dal governo all’inizio delle proteste. Un blocco che ha conseguenze economiche dirette. I pagamenti con carte di credito necessitano, per essere convalidati, della connessione Internet. L’insieme delle transazioni è dunque bloccato e anche la Borsa del Cairo ha dovuto chiudere.

(Fonte: Le Monde.fr)