Il sostegno di Washington alle proteste popolari in Egitto segna un cambio di direzione dell’ambito della politica americana nel Medio Oriente. Sino alla metà di gennaio, quando erano iniziati i primi disordini, l’Egitto era di fatto tra i maggiori alleati degli Stati Uniti nella regione, un ponte che collega i paesi arabi al governo americano e a quello israeliano.

Per non danneggiare ancora di più il rapporto con il governo americano, già teso a causa del rifiuto di Tel Aviv di fare maggiori concessioni territoriali ai palestinesi, il premier israeliano Benjamin Netanyahou non ha condannato pubblicamente l’appoggio di Barack Obama alle proteste contro il regime di Hosni Mubarak, ma in Israele la condanna di Obama è unanime, sia fra i membri del governo che nei media e nella popolazione.
L’impressione è che appena sono iniziate le proteste contro Mubarak, Washington ha avuto fretta di sbarazzarsene, come se all’improvviso il presidente egiziano fosse diventato un alleato scomodo. O come se lo fosse sempre stato e il governo degli Stati Uniti attendesse solo il momento giusto per disfarsi di lui.

La posizione assunta da Washington ha sicuramente minato la credibilità della politica estera americana e non solo in Israele. Come ha rilevato Frank Wisner, emissario in Egitto per la Casa Bianca, le dichiarazioni di Obama, la sua richiesta a Mubarak di lasciare spazio ad un nuovo governo appaiono come l’esempio della confusione e dell’incoerenza delle posizioni americane nel contesto medio orientale. A seguito di questa dichiarazione Washington ha immediatamente preso le distanze da Wisner, che verrà presto sostituito da qualcuno meno critico nei confronti del presidente.

Dall’inizio dei disordini in Egitto, Israele teme l’ascesa al potere dei gruppi religiosi. Se i Fratelli musulmani entrassero a far parte del nuovo governo – nonostante dicano di non essere interessati – quel poco che resta del processo di pace verrebbe spazzato via, così come verrebbero meno i fragili equilibri regionali. Senza dimenticare la possibile e temuta alleanza con il regime totalitario dell’Iran. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad troverebbe nei Fratelli musulmani gli alleati ideali per “spazzare via Israele dalle carte geografiche”.

In un intervento sulla stampa, Dori Gold, ex ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, ha rimproverato ad Obama di commettere lo stesso errore che fece il presidente Jimmy Carter nel 1979, al tempo della rivoluzione iraniana, quando non diede sostegno allo Scià Mohammed Reza Pahlavi di fronte alla minaccia islamista. Lo Scià venne esiliato e l’Ayatollah Khomeini salì al potere, dichiarando l’Iran una repubblica islamica.
“Tutti sappiamo che per Mubarak è giunto il momento di andarsene – scrive il quotidiano israeliano Yediot Aharonot – Ma nessuno di noi si aspettava l’atteggiamento categorico e precipitoso di Obama nei confronti del suo alleato Mubarak.”

Benjamin Netanyahou teme di essere scaricato da Obama come è successo a Mubarak? No. No perchè negli Stati Uniti l’influenza delle lobby ebraiche è troppo forte. Al contrario, le dichiarazioni del presidente americano fanno presagire che Israele rimarrà l’unico baluardo fra l’Occidente e i paesi arabi, l’unico potere stabile di fronte alla minaccia islamista.