Alla fine degli anni ‘60 i Gufi cantavano il ritornello: io vado in banca/stipendio fisso/così mi piazzo/e non se ne parla più.

Il lavoro fisso era ancora un sogno che si poteva realizzare. Piazzarsi alle officine FFS, in posta, in governo, in banca o nella scuola, significava rimanerci fino all’età del pensionamento. Oggi le certezze sono cadute. Il lavoro è diventato raro e quello fisso anche di più e spesso il salario non basta per vivere. La disoccupazione non accenna a diminuire. Il Ticino è uno tra i cantoni più colpiti: le persone in cerca di lavoro sono 12’000 e i posti vacanti solo 700 (almeno quelli annunciati agli URC). A partire dall’aprile di quest’anno, con l’entrata in vigore della revisione dell’assicurazione disoccupazione, 1000 persone verranno private del diritto al sussidio di disoccupazione. Si infoltiranno le file delle persone in assistenza con relativo aumento delle spese sociali per cantone e comuni. Anche la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli mai visti: 11-13%.

Oggi in Ticino sono 2000 i giovani senza lavoro. Di questi circa 500 sono già in assistenza, ma ad aprile se ne aggiungeranno degli altri, quanti? Il lavoro è ormai diventato la maggiore preoccupazione anche per noi genitori. La domanda che ci assilla è :i nostri figli riusciranno a trovarlo, e quale lavoro e per quanto tempo? Ormai nemmeno la laurea li protegge più dal rischio di indigenza. Ad aggravare la crisi del lavoro ci ha pensato la revisione dell’ assicurazione disoccupazione che forza i giovani laureati ad accettare qualsiasi lavoro. Risultato? Sono mine vaganti. Nessuno li assume perché o sono giudicati troppo qualificati o sono ritenuti privi di esperienza professionale.

Che fare? La prima cosa da fare è quella di salvare il lavoro dove c’è. Nell’ultimo ventennio le ex-regie federali ci hanno portato via 3000 posti di lavoro. Ne avremmo persi altri 400 se gli operai delle Officine di Bellinzona non avessero piegato la storia. Ma la lotta alle officine non è finita, e la minaccia di chiudere o di trasformare tutto il personale in interinali è ancora lì. Che si fa per impedirlo? Il polo tecnologico ferroviario proposto dai Verdi – con la prospettiva di creare 700 posti di lavoro – interessa a qualcuno? A Locarno nel 2009 AGIE ha licenziato 120 persone, in prevalenza residenti, da gennaio 2010 ha assunto 60 interinali, quasi la metà frontalieri. Anche la Schindler licenzia: 30 i contratti già disdettati e gli altri 350? Diventeranno interinali o finiranno in India? Qualcuno se n’è accorto? Che si fa?

Ma non basta salvare il lavoro occorre anche crearlo. Un settore che si prospetta prospero è, oltre alla sanità e alle cure alle persone, quello delle energie alternative e del risparmio energetico. Tocca al Ticino politico ed alle nostre banche investire in questo settore ed in particolare nella formazione di personale qualificato e in incentivi alla ricerca, alla produzione e all’utilizzo di questi nuovi prodotti del mercato. Si sono carbonizzati 36 milioni in Germania (Lünen) e al Ticino nemmeno le briciole! Langue la vera promozione economica – non però quella che sostiene l’insediamento di grandi capannoni vuoti – e il famoso fondo di 30 milioni di Banca Stato ha fatto la muffa! E’ ora di suonare la sveglia.

Da ultimo il lavoro deve essere ancorato al territorio e protetto.

Anche nel 2010 i frontalieri ed i lavoratori distaccati sono aumentati. Nulla di nuovo se non che il fenomeno si sta estendendo anche al settore terziario (banche, fiduciarie ecc.) Evidentemente qualcuno ne sta approfittando.

La rabbia è comprensibile ma il problema non si vince scatenando una guerra contro i frontalieri. Il nemico è altrove. Semmai è una guerra da vincere insieme facendo in modo che il lavoro che è li (in Italia) non venga da noi e che il frontaliero non sia un lavoratore senza diritti e dignità. Perché la competitività del frontaliere rispetto al personale indigeno passa forse anche dal salario – inferiore a quello del personale indigeno -ma anche e soprattutto dall’accettazione di condizioni materiali di lavoro per noi insopportabili.

E’ forse da li che occorre partire per arginare il fenomeno: cambiare il concetto di abuso su cui si innesta la facoltà d’intervento delle autorità cantonali preposte alla sorveglianza del mercato del lavoro. Riconoscere l’abuso non solo nella differenza di salario ma anche nello scadimento qualitativo delle condizioni di lavoro. Cosi facendo si potrebbe intervenire in tutti i settori e in tutte le professioni e imporre regole contrattuali obbligatorie. Questo si che annullerebbe il vantaggio competitivo del frontaliere rispetto al giovane in formazione o all’adulto disoccupato.

A tal proposito è preoccupante constatare come il settore della vendita – uno tra i più importanti in Ticino – non è ancora regolamentato. Che cosa si aspetta ad intervenire?

Concludo con una riflessione amara: la società è diventata schizofrenica. L’anno scorso abbiamo votato una forza centrifuga che manda fuori asse migliaia di giovani e di adulti disoccupati (LADI) ma nel contempo abbiamo anche aderito all’anno europeo di lotta alla povertà e all’esclusione sociale.

Poveri noi? Si, tanto, e lo siamo tutti.

Michela Delcò Petralli, candidata per il CdS per i Verdi