“No-fly zone : un compromesso adottato in quelle situazioni dove la comunità internazionale esige la fine delle violenze senza poter giustificare politicamente un vero intervento armato.”
Joshua Keating, Slate.fr

Sabato, di fronte all’avanzare delle truppe leali a Gheddafi nella riconquista delle località in mano ai rivoltosi (Ras Lanouf e Marsa el Brega) i paesi membri della Lega araba hanno riaffermato la necessità di una risoluzione per creare in Libia una no-fly zone. Anche diversi paesi europei, capeggiati dalla Francia, intendono presentare alle Nazioni Unite un progetto per l’adozione di questa risoluzione.

La messa in opera di una zona di esclusione aerea, la no-fly zone, consiste nel proibire a qualsiasi velivolo non espressamente autorizzato, di sorvolare una determinata zona o un intero paese. Questo divieto viene applicato soprattutto agli aerei ed elicotteri militari.
Concretamente, gli aerei che vogliono decollare da un territorio colpito dal decreto devono ottenere il permesso delle autorità che lo hanno sancito. Se malgrado il divieto gli aerei si alzano in volo sono automaticamente considerati velivoli nemici e possono essere abbattuti.

Lo scopo della no-fly zone in Libia è quello di impedire che le forze armate agli ordini di Gheddafi continuino a bombardare i centri abitati nell’est, dove si trova la maggior parte della popolazione insorta. Negli scorsi giorni questi bombardamenti hanno fatto moltissime vittime e colpito anche diverse strutture petrolifere.

La tattica della no-fly zone è un’invenzione recente. All’inizio degli anni ’90 era stata applicata in Iraq (1991 e 1992) e in Bosnia (1993). Non si basa su leggi internazionali e il principio della sua legalità continua a far discutere anche se è autorizzata dal capitolo 42 della Charta delle Nazioni Unite che permette “dimostrazioni, misure di blocchi e altre operazioni eseguite dalle forze aeree, navali o terrestri nel caso di un fallimento nel mantenimento o del ristabilimento della pace.”

Di fatto i paesi che decidono l’attuazione di una zona di esclusione aerea non avrebbero bisogno dell’autorizzazione delle Nazioni Unite. Chiedere il permesso a questa istituzione è più che altro un procedimento nel nome del politically correct. Quando era stata applicata in Iraq, il governo di Washington non aveva ritenuto opportuno chiedere il permesso delle Nazioni Unite.

(Fonte: Le Figaro.fr)