La petizione sul lavoro, lanciata nelle scorse settimane dai Verdi del Ticino, ha trovato nel recente studio sul mercato del lavoro indigeno allestito dall’ Istituto di ricerche economiche (IRE) su richiesta della Commissione tripartita (quella che dovrebbe proteggere il mercato interno dagli effetti negativi dell’accordo sulla libera circolazione delle persone) una ulteriore legittimazione. Contrariamente a quanto riportato dai media, lo studio dell’IRE non può considerarsi tranquillizzante.

Il rapporto solleva il velo su alcune peculiarità del mercato locale che destano preoccupazione: dal crescente numero di lavoratori frontalieri nel settore terziario – un elemento assolutamente nuovo rispetto alla storia occupazionale ticinese – al ruolo sempre più importante delle agenzie di collocamento, al preoccupante dilagare del lavoro interinale. Tre elementi tra loro interconnessi. Perché? Il lavoro si fa sempre più precario. Aumenta la richiesta di lavoratori disposti ad accettare contratti di lavoro a tempo parziale o a tempo determinato. Le agenzie private di collocamento si adattano in fretta alla richiesta del mercato. Sono brave a trovare e collocare chi è disposto ad accettare un lavoro interinale. E chi, se non il frontaliere, risponde meglio a questo profilo di lavoratore flessibile, senza diritti e senza pretese. Il collocamento è un’attività che rende bene, tanto da far muovere le agenzie private verso il bacino d’utenza, come l’hanno fatto quelle che recentemente sono scese in Piemonte a cercare 600 persone tra muratori, idraulici, gruisti, lattonieri, giardinieri per il mercato svizzero.
Di questo potere delle agenzie private di collocamento i Verdi se ne sono accorti, ed è proprio per questo che la loro petizione sul lavoro chiede di dare maggiore valore agli Uffici di collocamento cantonale, tra l’altro obbligando tutti i datori di lavoro a notificare qui i posti vacanti, dando cosi, indirettamente, priorità ai disoccupati residenti.

Ma il rapporto dell’IRE, come la petizione dei Verdi, si concentra anche sul settore del commercio. Gli estensori del rapporto sottolineano come l’aumento dei lavoratori d’oltre confine è risultato più elevato in questo settore rispetto a tutti gli altri rami economici. La ragione è evidente: l’assenza di regole contrattuali – cosa che appunto caratterizza questo ramo del commercio – crea lo spazio per speculare sulla manodopera privilegiando quella che “non reclama”. La petizione dei Verdi chiede più controlli in questo settore e l’imposizione di un contratto individuale di lavoro con effetto vincolante.

Per finire, il rapporto, sebbene sembri escludere che sul mercato del lavoro ti¬cinese sia in atto un processo di sostitu¬zione sistematica dei lavoratori indigeni con lavoratori frontalieri, lancia un monito che non dovremmo sottovalutare: l’elevato numero di frontalieri (siamo a quota 48’000) raggiunto nel mercato del lavoro ticinese “pone degli interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine del fenomeno”.
A tale proposito l’IRE chiede di approfondire la propria ricerca anche per raccogliere e valutare dati aggiornati sulle singole aziende. Dati statistici che appunto mancano e che la petizione dei Verdi vorrebbe fossero regolarmente raccolti in un registro pubblico delle aziende.

Per concludere parlare di bilaterali, di frontalieri e di problemi del lavoro in Ticino non deve essere prerogativa solo di certi partiti, altrimenti si rischia davvero “da fa la fin dal “ratt”.

Avv. Michela Delcò Petralli, candidata al CdS per i Verdi