In occasione di uno dei ricorrenti incontri tra il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) con le organizzazioni sindacali (19 gennaio 2010) così come nella successiva seduta della Commissione tripartita per la libera circolazione, l’OCST, per il tramite del suo segretario cantonale, aveva sollecitato un’analisi approfondita sulla contrastante evoluzione dell’occupazione e del numero di frontalieri attivi in Ticino. La crisi economica stava infatti dilatando la disoccupazione ma andava di pari passo con un incremento dei frontalieri. Il documento “Disoccupazione e frontalierato nel Cantone Ticino”, presentato recentemente dall’IRE, è perciò accolto come un contributo valido all’approfondimento di questo divergente andamento. La sua analisi e comprensione rivestono del resto una rilevanza, che travalica le situazioni di crisi; riguardano infatti la traiettoria generale del mercato del lavoro ticinese in un contesto di libera circolazione delle persone.

Purché sia solo considerato un passo iniziale

Il documento fornisce un ricco elenco di dati ed analisi sui cambiamenti strutturali dell’economia e dell’occupazione, all’interno dei quali si colloca l’evoluzione della disoccupazione e del frontalierato. La relazione tra disoccupazione e frontalierato è  però misurata con un metro di valutazione tanto elevato da impedire di considerare pienamente la preoccupazione, più puntuale, all’origine della richiesta dello studio. L’analisi è stata infatti concentrata sull’eventuale rilevamento di una sostituzione sistematica dei lavoratori indigeni con manodopera pendolare. Si è cioè rivolta l’attenzione ai grandi numeri piuttosto che a fenomeni meno appariscenti ma non per questo insignificanti dal profilo occupazionale.

All’OCST preme senza dubbio che possano essere tempestivamente intravviste le aree dove è in atto o può prodursi un eventuale processo -forzatamente di lungo termine-  di espulsione o di sostituzione massiccia della manodopera locale. Preme però altrettanto intensamente l’identificazione di interstizi -di più ardua individuazione-  dove le nuove entrate dall’estero vanno a scapito del collocamento di disoccupati.

Lo studio dell’IRE, giungendo alla costatazione che non è rilevabile una sostituzione sistematica tra lavoratori frontalieri e indigeni pur mettendo in rilievo una situazione critica nella vendita, fornisce un apporto sì interessante ma incompleto. Esclude che sia in atto una concorrenza diretta e rilevante tra manodopera indigena e frontaliera ma non  fornisce lumi sull’eventuale sottrazione di occasioni concrete -anche se meno ingenti- di impiego ai disoccupati. Il documento dell’IRE costituisce perciò di un passo iniziale che va completato con un supplemento di analisi su fenomeni meno appariscenti e corposi ma tutt’altro che trascurabili ai fini di un mercato del lavoro e di un contesto sociale equilibrati.

L’OCST chiede perciò che lo studio dell’IRE sia completato da un’analisi più dettagliata sulle aree del mercato del lavoro dove, pur non potendosi rilevare una sostituzione massiccia di manodopera locale, le nuove assunzioni dall’estero contraggono le possibilità di inserimento per i lavoratori disoccupati.

Mettere il terziario sotto stretta osservazione

E’ il terziario – in particolare il terziario a carattere impiegatizio – il settore dove le nuove entrate di manodopera estera possono principalmente porsi in diretta concorrenza con il personale locale. La libera circolazione, cancellando la priorità attribuita in passato alla manodopera indigena, ha aperto le porte ad un libero accesso dall’estero in attività verso le quali continua ad orientarsi prevalentemente la manodopera locale. Se in alcuni casi si tratta dell’entrata di persone con profili difficilmente reperibili in loco, altrove le assunzioni attingono a logiche ben diverse, non esclusa la speculazione sulle spalle di una manodopera più remissiva. Essendo sovente prive di contratti collettivi di lavoro, le categorie impiegatizie sfuggono d’altronde più agevolmente al controllo sociale che una consolidata collaborazione tra le parti sociali comporta.

L’OCST ravvisa nel terziario impiegatizio l’area più esposta a situazioni dove le entrate di manodopera estera possono sottrarre sbocchi lavorativi a disoccupati locali. La preferenza data alla manodopera estera è anche riconducibile a considerazioni speculative. Occorre perciò sondare dettagliatamente questo settore per rilevarvi le situazioni dove il collocamento di manodopera locale e in particolare di disoccupati si veda ostacolata da nuove immissione dall’estero.

Un ulteriore approfondimento nella vendita

Per lo studio dell’IRE, l’unico ramo che si trova in situazione critica è la vendita. Afferma aggiuntivamente che è già sotto osservazione e controllo. Trattandosi tuttavia di un controllo prevalentemente orientato agli aspetti retributivi, la criticità rilevata, che riguarda piuttosto il risvolto occupazionale, merita un ulteriore approfondimento. E’ opportuno capire quali sono i fattori che hanno impedito, malgrado una crescita occupazionale complessiva del ramo della vendita, un più consistente assorbimento della disoccupazione. Occorre cioè andare a sondare le radici e le manifestazioni più tangibili di questa evoluzione che ha favorito l’ingresso di manodopera estera più che la riduzione della disoccupazione locale.

L’OCST ritiene opportuno sottoporre ad analisi specifica anche il ramo della vendita. E’ necessario comprendere i motivi che hanno condotto ad una entrata di nuova manodopera estera piuttosto che ad un auspicabile assorbimento della disoccupazione locale.

La responsabilità è delle imprese e non dei frontalieri

Nell’esaminare l’eventuale relazione tra disoccupazione e frontalierato tende a scattare un istintivo moto di sospetto e risentimento all’indirizzo dei lavoratori frontalieri. Si tratta di una reazione errata e fuorviante. La responsabilità di eventuali assunzioni a scapito del collocamento di disoccupati locali ricade interamente sulle imprese e non già su chi aspira per nulla incolpevolmente ad un lavoro. Il binomio “disoccupazione e frontalierato” è perciò lacunoso. Va completato con l’aggiunta del polo “imprese” che, pur rimanendo nell’ombra, è l’autentico responsabile di eventuali situazioni di contrazione degli sbocchi lavorativi per i disoccupati locali.

Il frontalierato è al contrario una componente costitutiva e irrinunciabile del mercato del lavoro ticinese; fornisce un apporto decisivo al benessere del territorio.

Nel combattere le situazioni di indebita competizione tra frontalieri e disoccupati locali si fa del resto l’interesse del frontalierato stesso. Nella misura in cui prosperino attitudini speculative, ad esserne penalizzati sono in primo luogo gli indigeni ma nel più lungo termine tutte le categorie di lavoratori ivi compresi i frontalieri.

Il contenimento e il superamento delle situazioni, dove le nuove entrate di manodopera estera sottraggono occasioni di lavoro ai disoccupati locali, vanno perseguiti chiamando in causa le imprese e la loro responsabilità sociale verso il territorio dove operano. Non sono i frontalieri ma le imprese locali le autentiche responsabili di eventuali disfunzioni e scompensi nella primaria attenzione che deve essere rivolta al collocamento di disoccupati.

Rafforzare le pressioni sulle imprese

La libera circolazione impedisce di ingerire nella libertà di assunzione delle imprese. La richiesta di elaborare misure di accompagnamento volte non solo a combattere gli abusi salariali ma anche quelli occupazionali, formulata più volte dall’OCST in ambito federale, si è del resto sempre scontrata all’opposizione dell’autorità competente. E’ tuttavia perlomeno indispensabile che si attui pienamente e rigorosamente il compito di osservazione del mercato del lavoro assegnato alle Commissioni tripartite. Da questo profilo, si ritiene importante sottoporre ad approfondimento, nelle aree più sensibili, ogni nuova entrata di manodopera estera. Appare in particolare utile conoscere i motivi che inducono le aziende ad assumere una persona estera piuttosto che inserire un disoccupato locale. E’ altrettanto opportuno sapere se queste entrate non siano state precedute da allontanamenti di manodopera locale in un processo di effettiva sostituzione. In questo ambito dovranno essere messe in atto adeguate pressioni sulle imprese insufficientemente sensibili ai bisogni occupazionali del territorio.

L’OCST chiede che, nelle categorie dove è più elevato il bisogno di collocamento di disoccupati, ogni nuova entrata dall’estero sia verificata dalla Commissione tripartita per il tramite dell’Ispettorato del lavoro. Questo intervento sarà occasione non solo per un approfondimento conoscitivo ma anche per  responsabilizzare le aziende all’obiettivo di riduzione della disoccupazione.

Conclusioni

Pur riconoscente per lo studio dell’IRE, l’OCST sollecita di avanzare nelle analisi del mercato del lavoro, puntando lo sguardo verso le sue pieghe meno appariscenti. E’ qui che possono più agevolmente verificarsi le situazioni di sottrazione di occasioni lavorative a scapito dei disoccupati locali. La Commissione tripartita è sollecitata ad attribuire gli ulteriori mandati di studio all’IRE.

E’ pure auspicata una linea più vigorosa della stessa Commissione tripartita per la libera circolazione delle persone. Si chiede che questo decisivo organismo, per il tramite dell’Ispettorato del lavoro, sottoponga a capillare osservazione i movimenti della manodopera estera nelle aree dove è più acuto il pericolo di una sottrazione di sbocchi lavorativi per i disoccupati locali. E’ indispensabile mettere in atto accresciute pressioni sulle aziende che portano l’effettiva responsabilità per le situazioni sfavorevoli alla manodopera indigena.

O C S T

Segretariato cantonale

M. Robbiani

Lugano, 22 marzo 2011