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Per molti ticinesi l’Europa è una nebulosa caotica e fallimentare, senza storia né futuro. Forse anche perché assimiliamo fatalmente l’Europa all’Italia: il Paese che dopo 60 anni dalla seconda guerra mondiale ancora non ha saputo avviare un vero processo di innovazione che unisca il Paese.

Per molti di noi l’Italia è quel Paese dove lo sport nazionale consiste nel voler fregare lo Stato, perché lo Stato è nemico.
Non a caso il debito pubblico italiano è gigantesco – il doppio di quanto ammetterebbero i parametri di Maastricht – mentre il debito privato è quasi inesistente.
Lo Stato è nemico perché da decenni ha fallito l’obiettivo principale di ogni Stato: conquistare la fiducia dei propri cittadini. Il Governo Berlusconi – il più duraturo del dopoguerra – diletta il Paese con storie da operetta, infarcite di soldi, sangue e sesso. Fintanto che c’è pane, il popolo si diverte, ma appena i soldi scarseggiano sale la rabbia e trema la seggiola dei governanti.
Leggo così l’esito delle elezioni amministrative degli ultimi giorni: un rimbrotto chiaro e forte all’indirizzo di Berlusconi, anche nella sua Milano.

Proprio perché culturalmente simili ai nostri vicini di casa, ne assimiliamo spesso i malvezzi. Penso in particolare a una certa «cultura dell’informazione» che abbiamo importato insieme con i molti giornalisti italiani attivi in Ticino. Ma anche a una certa «cultura politica» del litigio e del confronto fine a sé stesso. Nasce così con l’Italia una relazione complessa, di amore-odio, perché nella similitudine cerchiamo disperatamente la nostra identità.
Allora c’indigniamo per le azioni vessatorie di Tremonti, per le parole offensive che usa nei nostri riguardi, per i suoi goffi tentativi di succhiarci con vari scudi ogni centesimo necessario al risanamento del suo disperato bilancio.

I confederati – tedeschi e francesi – manco se ne accorgono: le parole di Tremonti si confondono con la cacofonia dell’operetta bislacca che i media italiani ci rimandano. Ma qualcosa si muove, anche a Nord del Gottardo. Si smette di ridere dell’Italia e la si guarda con preoccupazione: c’è aria di crisi, anzi, c’è crisi.
Lo ha ammesso anche il Consiglio federale, accogliendo il 18 maggio la mia mozione (11.3157) del 16 marzo 2011.
Una mozione che in pochi minuti è stata sottoscritta da quaranta membri del Consiglio nazionale e che chiede una chiara strategia per uscire da questa crisi. Una strategia del pugno di ferro nel guanto di velluto.
Ma questa è l’Italia, non è l’Europa. Non è l’Europa dei valori (il Consiglio d’Europa) di cui fa parte la Svizzera e non è nemmeno l’Europa economica e politica (l’Unione europea), di cui non facciamo parte, ma nel cui petto pulsiamo e con la quale viviamo in stretta simbiosi, essendo la nostra ricchezza legata a triplo filo con gli scambi commerciali che coltiviamo con essa.
L’Unione europea è molto di più dell’Italia e l’Europa è molto di più dell’Unione europea. Con quest’Europa condividiamo la storia e quasi tutte le sfide del futuro, in particolare la prima, quella demografica.

A giusta ragione rivendichiamo una nostra via, ma attenzione a fare di ogni erba un fascio, a confondere le sparate di Tremonti con il disegno europeo: finiremmo col gettare il bambino insieme all’acqua sporca.
Procediamo con pragmatismo: passi lunghi e ben distesi. Senza perdere di vista l’obiettivo, che è quello di salvaguardare nel modo più intelligente possibile gli interessi della Svizzera e del Ticino!

Ignazio Cassis
Consigliere nazionale del PLR