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Una settimana fa la RSI ha trasmesso un interessante servizio sugli effetti sui consumi (esercizi pubblici, turismo, servizi) dello straordinario rafforzamento del franco svizzero.
A soffrirne sono però tutti i settori economici. Il secondario, per esempio, dove sentiamo aziende annunciare che nei prossimi mesi trasferiranno tutte le attività in un paese estero meno caro del nostro: uniche alternative per i dipendenti, trasferirsi in quel paese o cercarsi un altro impiego.
Anche il terziario ne è colpito, chiaro sintomo le riduzioni di personale nelle banche e nei servizi. Non solo per colpa del super franco, in questo caso, ma della minor entrata di nuovi fondi, della bassa redditività della massa gestita già esistente, dello scenario poco chiaro per via degli “accordi con Germania e Gran Bretagna”, della possibile fuga di capitali in paesi meno impiccioni e più determinati a farsi rispettare dagli USA e dall’Unione Europea.

A proposito degli interventi sulla moneta da parte della Banca Nazionale, è interessante il punto di vista del Prof. Baranzini, il quale ha recentemente sostenuto, a “Contesto”, che avremmo dovuto impiegare quei capitali diversamente, iniettandoli nelle attività di sviluppo, formazione e produzione. La manovra della Banca Nazionale costerà parecchio e noi cittadini pagheremo il conto di un danno non generato dalla Svizzera, ma da gestioni pubbliche fallimentari nell’ Unione Europea e negli Stati Uniti d’America.
La Svizzera, con la sua moneta solida e un tasso di crescita superiore ad altre nazioni limitrofe, si è trovata “vittima del proprio successo”. Appare piuttosto improbabile la favola del franco come bene rifugio, dove mezzo Mondo finanziario è corso a comprare moneta elvetica.
Direi piuttosto che, con un franco espressione della solidità della nostra economia e di bilanci pubblici sani (vedi l’avanzo d’esercizio 2011 stimato in 2.5 miliardi), abbiamo deliberatamente subito un attacco mirato a destabilizzare la nostra economia nazionale. Il quadro completo non è chiaro, ma un simile rafforzamento della nostra moneta suona tanto come una dichiarazione di guerra alla Svizzera.

Gli effetti e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Ci sarà il rischio di non esportare più, non incasseremo denaro né tasse e non genereremo ricchezza, trasferiremo le aziende in Paesi meno cari per la produzione, perderemo posti di lavoro che non saranno più rimpiazzati. Per finire, nessuno verrà più in vacanza da noi e nessuno acquisterà beni di consumo. Uno scenario inevitabile e inquietante.
Nessuno ha la bacchetta magica, ma è tempo di reagire a livello politico ed economico. Il Governo ha la responsabilità di agire in modo più dinamico ed espansivo e iniettare denaro a sostegno dell’economia e della formazione. Non è il momento di lesinare.
Pensiamo ad interventi nel settore secondario, ad esempio agevolazioni fiscali a sostegno della creazione di posti di lavoro e della formazione per personale indigeno e residente, (contingentamento delle assunzioni) includendo ovviamente il requisito di non trasferire l’azienda all’estero. Interessante anche l’ipotesi di agevolazioni alle aziende per i loro trasporti merce e per lo sviluppo di nuovi progetti e iniziative. Ancora, aggravamenti fiscali per i datori di lavoro che sul nostro territorio non occupano nemmeno uno svizzero o un residente del nostro Paese (la situazione è seria non solo in Ticino, ma anche a Ginevra, che vede un frontalierato francese arrivato a quota 60.000, con società e aziende senza un solo ginevrino impiegato).

Non dimentichiamoci però della ristorazione e dei beni di consumo, dove sempre più categorie di settore sottolineano le perdite accumulate da inizio anno. Con il franco forte, indubbiamente c’è stato un calo di turisti e stranieri nei nostri ristoranti, grotti e bar, ma forse è giunto il momento che molti esercenti facciano un esame di coscienza e si domandino come si è potuti arrivare a questi livelli di prezzi e basso servizio.
Com’è possibile che in molti grotti e ristoranti si paghino bottiglie di merlot ticinese dai 65 ai 90 franchi? Un caffè non meno di 2.50-3 franchi (ossia 2.80 euro)?
E’ possibile in pieno luglio farsi rimproverare dall’oste di un grotto luganese per essere arrivati alle 20.45, perché il cuoco avrebbe lasciato la cucina (e noi senza cena) alle 21? E che dire di un piatto di formaggi, con 5 fette grandi come spicchi di arancia, a 19 franchi? E di una pizza margherita (la più povera delle pizze) a 18 franchi?
Come la mettiamo con un cambio Fr/Eur alla pari o quasi sui conti dei clienti ? Ovvio che, a queste condizioni, non soltanto i ticinesi rinunciano ad andare al ristorante, ma nemmeno torneranno i turisti. I costi di esercizio, del personale, della merce e quant’altro non possono giustificare simili esagerazioni.
Tutti i settori economici dovranno fare la loro parte, e al più presto, per non rendere la nostra Svizzera uno stato peggiore di quanto lo siano già intorno a noi.

Tiziano Galeazzi
Municipale Monteggio
Membro UDC Malcantone