Pubblichiamo questa lunga e intensa lettera di un partecipante al convegno “La scuola e i suoi problemi: è ora di parlarne!”. Alla giornata di studio (i 4 seminari del mattino, la sessione plenaria del pomeriggio) hanno partecipato un centinaio di persone: docenti, operatori culturali e mediatici, esponenti della scuola pubblica e privata. Assenti, benché invitati, rappresentanti ufficiali del DECS.

È con qualche reticenza, non sa­pendo bene a co­sa sarei andato incontro, che ave­vo deciso di accet­tare l’invito di partecipare alla giornata di dibat­tito sulla scuola organizzata saba­to scorso dall’associazione Società Ci­vile. Non sapevo da dove venisse quel­l’invito e m’intrigava anche il fatto che avessero invitato proprio me, estraneo come sono ormai da decen­ni (e non ne ho mai fatto un miste­ro) alla realtà della scuola ticinese. Così ho rischiato il passo. Confesso in tutta umiltà che ho dovuto riman­giarmi tutte le mie reticenze: è stata un’esperienza positiva su tutta la li­nea e che avrei voglia di ripetere.

In una sola giornata, per quanto in­tensa e ben organizzata, voler affron­tare il tema della scuola, della sua funzione, delle sue mancanze e dei suoi desideri, è naturalmente assur­do, e non era nemmeno questo l’in­tento degli organizzatori. L’intento era chiaro e molto più modesto; di­ceva semplicemente: «parliamone!». Il pericolo, semmai, sarebbe stato quello di perdersi in tante chiacchie­re e lamentele, ma non mi sembra proprio che questo sia avvenuto. Il fatto è che il tema è di una tale fon­damentale importanza e tocca trop­po da vicino ognuno di noi, nessuno escluso, perché ci si possano permet­tere le chiacchiere.

Un’atmosfera che definirei di «serena serietà» aleggiava infatti sin dall’ini­zio – prima ancora che cominciasse­ro i lavori dei gruppi – su quella cin­quantina di astanti riunitisi nell’au­la magna dell’USI, e mi sembrava di buon augurio. L’introduzione breve, concisa e mirata del prof. Martinoli ha saputo coglierla e rilanciarla in modo intelligente. Era chiaro che nes­suno si aspettava soluzioni; solo at­tenzione ai problemi, scambio di opi­nioni e, per quanto possibile, argo­menti fondati.

Dopo un’esposizione non troppo fe­lice e abbastanza confusa dei risul­tati di un’inchiesta commissionata dalla stessa associazione Società Ci­vile, di cui dirò anche in seguito, si sono appartati i quattro gruppi di lavoro proposti: sulla formazione de­gli insegnanti, la scuola media, le scelte scolastiche e professionali e l’in­tegrazione.

Nel gruppo al quale mi ero iscritto, quello sulla formazione degli inse­gnanti (che mi sembrava il più vici­no alle mie esperienze d’insegnamen­to) si erano riunite una quindicina di persone, che in parte già conosce­vo, in parte no. Avevamo solo due ore prima della pausa pranzo e ancora un’ora dopo la pausa per raccoglie­re e ordinare le idee e le proposte, pri­ma di tornare al plenum per espor­re, insieme agli altri tre gruppi, i ri­sultati della discussione. Il nostro ca­pogruppo, l’ex ispettore scolastico Ro­berto Ritter, aveva preparato uno specchietto di temi molto utile per in­quadrare e limitare il dibattito, e si è così riusciti ad arrivare abbastan­za rapidamente al sodo senza trop­po divagare.

Quello che subito mi ha colpito, e non soltanto nel gruppo di cui facevo par­te, è stata la scarsissima presenza di rappresentanti della giovane genera­zione, che rispecchiava, fra l’altro, anche l’età media degli interpellati da quell’inchiesta di cui avevamo in mano i risultati: oltre i 50 anni, il che non coincide di certo con la realtà del Paese. Mancava dunque, tanto nel nostro quanto negli altri gruppi, una componente essenziale ad un di­battito proficuo: quella giovanile. Benché questo fosse chiaramente un limite, non si è rivelato però – perlo­meno nel nostro gruppo – essere sol­tanto negativo. Nonostante le diver­sità di formazione, di competenze, di ruolo e di vedute dei partecipanti, una certa unità si è subito creata gra­zie ad esperienze comuni dovute al­la comune età.

Pur nella coscienza delle gravi man­canze della scuola che noi stessi ave­vamo frequentato (dagli anni Cin­quanta al 70) e dell’impossibilità di un paragone con le esigenze della scuola di oggi, la riflessione su alcu­ni valori positivi che sembrano irri­mediabilmente perduti era, direi, unanime : la mancanza, fra gli inse­gnanti di oggi, di figure davvero ca­rismatiche che sappiano con autore­volezza (non con autoritarismo) ser­vire da esempio e da guida nella for­mazione dei giovani; la tendenza a voler vedere nella professione dell’in­segnante la funzione di un impiega­to specializzato, più che quella del­l’uomo di cultura dedito alla trasmis­sione del sapere in senso globale, non soltanto come cumulo di conoscenze specifiche. Argomenti toccati anche dalla bella relazione introduttiva al plenum del prof. Fabio Minazzi.

A conclusioni simili sembravano an­che essere giunti gli altri tre gruppi di lavoro, a giudicare dai loro reso­conti. Mi era capitato un po’ per caso di ve­dere, la domenica prima, sul primo canale della nostra televisione, il di­battito di «Linea rossa», una lodevo­le iniziativa che dà spazio di parola ai giovani dai 15 ai 20 anni. Pur in un linguaggio diverso e a volte con­traddittorio, i desideri e le richieste di quei giovani nei confronti dei lo­ro insegnanti non differivano di mol­to dalle conclusioni a cui era giunta la nostra riunione di veterani. Ma non è raro che i figli si alleino più fa­cilmente con la generazione dei non­ni che non con quella dei padri e del­le madri…

Tanto più piacevole la sorpresa della relazione conclusiva, affidata ad una rappresentante della generazione più giovane dei ricercatori, che è ora sul­la breccia: la professoressa Tatiana Crivelli dell’Università di Zurigo. Con­fidando nelle sue capacità di lettura, ha voluto gettare uno sguardo dal punto di vista della narrazione sulla situazione della scuola ticinese e del­l’immagine dell’allievo, da Gian Bur­rasca al Cuore del De Amicis. Ma quale opera di narrativa poteva pre­starsi meglio alla metafora se non quella che alcuni (e mi annovero nel numero) considerano il capolavoro assoluto della letteratura italiana, il Pinocchio? Con garbo e delicatezza, l’immagine del burattino che va a scuola per diventare un uomo vero per sua volontà, nonostante tutte le insidie sul cammino, faceva capolino dal suo discorso. A lui il compito di riconoscere ed evitare i burattinai Mangiafuoco che muovono le fila.

Articolo apparso sul Corriere del Ticino del 2 dicembre 2011
di Mauro Guindani, docente e regista