John Edgar Hoover nacque a Washington nel 1895. Dal 1924 alla morte, nel 1972, diresse il Federal Bureau of Investigation (FBI). All’alto incarico fu chiamato dal presidente Calvin Coolidge; servì sotto otto presidenti; morì sotto Richard Nixon.

Quando Hoover fu messo alla testa dell’agenzia, essa era piccola, disorganizzata e godeva di scarso prestigio. Seppe potenziarla e dotarla di un formidabile spirito di corpo. L’FBI aveva 600 agenti quando Hoover ne divenne il direttore, 6’000 ne aveva quando Hoover morì.
L’accademia nazionale per l’addestramento degli agenti, l’immenso archivio per le impronte digitali, i laboratori scientifici sono creazioni di Hoover.

Hoover combattè il gangsterismo, uccise John Dillinger, il “pericolo pubblico numero uno” e “machine gun” Kelly. Riuscì a individuare, dopo 4 anni di assidue indagini, il rapitore ed assassino di Baby Lindbergh, un uomo di origine tedesca che fu poi condannato a morte e giustiziato.

Creò una rete capillare di informatori, raccogliendo dati personali riservati su molte celebrità, compreso il presidente John Fitzgerald Kennedy. Oggi si possono consultare degli archivi che dimostrano come Hoover facesse regolarmente spiare l’attività sessuale dei politici.
Erano anche oggetto di attenta e quasi ossessiva indagine le eventuali simpatie comuniste dei soggetti sorvegliati. Nel 1972 Hoover venne accusato di non aver indagato adeguatamente sull’assassinio di Kennedy, per non aver prestato sufficiente attenzione alla possibilità di un complotto.

La sede dell’FBI a Washington porta il nome di Hoover. A causa delle polemiche sulla sua eredità politica, nel 2001, il senatore Harry Reid patrocinò un emendamento per togliere il nome di Hoover dall’edificio, ritenendolo una macchia per quel che rappresenta. L’emendamento non venne però approvato dal Senato.

Hoover rimase uno scapolo per tutta la vita e secondo voci molto diffuse ed insistenti era omosessuale. Si parlò anche di una sua relazione con il suo vice, il direttore associato Clyde Tolson, ma prove certe non ne esistono.
Quando morì, il 2 maggio 1972, il presidente Nixon ordinò che gli fossero tributati funerali di Stato.

Il recentissimo film “J. Edgar” di Clint Eastwood, che ci racconta la vita del potente gerarca, risulta alla fine un po’ deludente. Benché di pregevole e accurata fattura e interpretato da un ammirevole Leonardo di Caprio, si concentra allo spasimo sulla psicologia del personaggio (il tormentato rapporto con la madre, la tormentata e repressa omosessualità) toccando solo in superficie gli straordinari avvenimenti che si intrecciarono con la sua vita e con la vita dell’FBI: l’uccisione di Dillinger, il rapimento di Baby Lindbergh, la caccia ai comunisti, la lotta per i diritti civili, l’assassinio di Kennedy e di Martin Luther King.
In conclusione un film di grande impegno e grandi promesse, in parte mancato.