Riprendiamo dal “Corriere del Ticino” questo notevole articolo, che espone i risultati di uno studio commissionato dal DECS per valutare gli esiti del potenziamento dell’insegnamento della Civica negli anni.

È uno spaccato che offre risultati definiti in «chiaroscuro» ed eterogenei dagli stessi ricercatori quello che emerge dal rapporto diffuso ieri dalla SUPSI che valuta lo stato dell’insegnamento della civica e dell’educazione alla cittadinanza nelle scuole ticinesi. Realizzata dal Centro innovazione e ricerca sui sistemi educativi (CIRSE) del Dipartimento formazione e apprendimento su mandato del DECS, l’indagine «Civica e cittadinanza: cittadini a scuola per esserlo anche nella società», durata due anni, analizza le pratiche didattiche e le conoscenze degli allievi nel campo della cittadinanza, prendendo in considerazione tre ordini di scuola: media, media superiore e scuole professionali.

L’obiettivo era valutare gli esiti del potenziamento promosso dal DECS all’inizio degli anni Duemila per questi insegnamenti: dal profilo politico, si ricorda, il potenziamento costituiva fra l’altro una risposta ad un’iniziativa allora promossa dal movimento giovanile del PLRT, «Riscopriamo la civica nelle scuole». Nel 2001 venne aggiunto un articolo nella Legge sulla scuola precisando che «nelle scuole medie, medie superiori e professionali devono essere assicurati l’insegnamento della civica e l’educazione alla cittadinanza».

Venendo ai risultati, i ricercatori (Pau Origoni, Mario Donati e Jenny Marcionetti) pongono l’accento su diversi elementi. Se da un lato, il questionario-test sottoposto agli allievi dei vari ordini di scuola ha riservato alcune sorprese positive (vi è «una maggioranza di giovani assai bene impostata e pronta a raccogliere le sfide del diventare adulti»), dall’altro una fetta consistente di allievi -il 20% circa, ovvero uno su cinque – è risultata debole, dimostrando «un totale disinteresse (e conoscenze quasi nulle) per tutto quanto attiene alla civica e all’educazione alla cittadinanza». Un dato ritenuto preoccupante. Al riguardo, scrivono gli autori, «la motivazione degli allievi ad apprendere in questo ambito si inaridisce prima ancora che la scuola possa proporre qualcosa (…) Nel caso della civica e della cittadinanza si è avvertita una situazione di non sintonizzazione sulla realtà sociale ed economica di riferimento, in cui il giovane pare quasi vivere una realtà parallela intrisa di dimensioni più o meno virtuali che genera dissonanza con quanto vivono (o secondo noi dovrebbero vivere) nella loro quotidianità a scuola e/o sul posto di lavoro, in famiglia, ecc».

A livello di nozioni, la conoscenza degli allievi è risultata «frammentaria». L’unico elemento che risulta quasi totalmente acquisito è quello relativo ai Cantoni fondatori, mentre le conoscenze sono risultate decisamente più deboli riguardo agli organi che amministrano il potere esecutivo e legislativo, il numero dei membri che siedono nei consessi e le definizioni degli strumenti di democrazia diretta. L’atteggiamento dei giovani verso la partecipazione al voto, specie nella scuola media, si è comunque rivelato positivo.

Un dato positivo è pure posto in rilievo per l’impegno degli istituti scolastici – specie quelli di Media – nel proporre attività di civica e cittadinanza. Lo studio evidenzia comunque scarti talvolta importanti tra un istituto e l’altro. Pur con qualche eccezione, concludono i ricercatori, gli istituti scolastici ticinesi sono «piuttosto attivi». Anche i docenti «si dimostrano attivi e informati indipendentemente dalla materia insegnata».

In prospettiva futura, i ricercatori ribadiscono la necessità di valorizzare quanto di buono viene già oggi attuato da parte di molti istituti e docenti, rilanciando parallelamente l’idea di una responsabilità maggiormente condivisa fra gli «attori sociali», non delegando semplicemente tutto alla scuola: si citano la famiglia, altre agenzie di socializzazione e i politici. R.L.