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Il 6 aprile 1992 i paramilitari e l’Esercito popolare jugoslavo diedero il via all’assedio e al bombardamento di Sarajevo, nello stesso giorno in cui l’Unione europea e gli Stati Uniti riconoscevano l’indipendenza della Bosnia-Erzegovina – scrive il quotidiano sloveno Delo – I preparativi per la guerra erano cominciati molto prima, ma nessuno aveva preso sul serio le avvisaglie di un conflitto.”

Sullo stesso giornale, così si esprime lo scrittore bosniaco Dzevad Karahasan : “La Bosnia-Erzegovina è ancora oggi in grave crisi, perché gli accordi di Dayton, che nel dicembre del 1995 misero fine alla guerra, hanno imposto una struttura statale non più sostenibile. Quando i burocrati internazionali e locali cercano di modificarla, vengono fermati con il pretesto che il cambiamento rischia di compromettere l’equilibrio e la pace. Ma l’unica pace in Bosnia è quella dei cimiteri.”

“Ciò che potrebbe permettere alla Bosnia di voltare pagina è la prospettiva dell’adesione all’Unione europea. Tuttavia il cammino è particolarmente in salita – si legge sul quotidiano austriaco Die Presse: “L’Unione europea dovrebbe tornare alle origini e affermarsi come un progetto di pace. Per ora invece si distingue soprattutto per il disinteresse verso ciò che accade in Bosnia.
L’Ue ha messo in chiaro con i politici bosniaci che il paese non potrà entrare nell’Unione fino a quando manterrà le complicate strutture create dalla comunità internazionale a Dayton. Ma al momento non esiste alcun accordo interno su una riforma strutturale.”

Lo spagnolo El País commenta : “Il dopoguerra finirà soltanto il giorno in cui la Bosnia-Erzegovina entrerà a far parte dell’Unione. La Bosnia-Erzegovina non ha nemmeno una festa nazionale, perché i politici non riescono a mettersi d’accordo su una data.
… Un’amministrazione doppia, una doppia identità e una totale mancanza di sentimento nazionale condiviso caratterizzano un paese che ha curato le proprie ferite ma non è riuscito a trovare una riconciliazione.”

(Fonte: presseurop.eu)