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Oddio, sto di­ventando uno spe­cialista di filosofia spicciola da auto­mobilista. Il fatto è che alcuni lettori mi incitano. Al­lora a gentile ri­chiesta, come si usa dire, vi riassu­mo qualche altro vezzo da viaggio, anzi un vizio.

Che è quello, per ingannare l’attesa nelle co­de, di spiare all’indietro negli abitaco­li che mi seguono (naturalmente con parsimonia, sia per discrezione, sia perché il compito primario di chi gui­da – e in genere di chi vive – è quello di guardare avanti e meno indietro. Almeno per non andare a sbattere con­tro un veicolo o contro l’imponderabi­le).

Qui ci sarebbe una lunga parente­si da aprire circa l’irrinunciabile biso­gno del passato e della tradizione (lo specchietto retrovisore) per poter pro­seguire con risolutezza verso i chilo­metri dell’avvenire, oltre il parabrez­za. Ma sarà per un’altra volta.
Dun­que, avete mai spiato un po’, per esem­pio, le coppie in automobile che stan­no dietro di voi? Se sì, mi capite.
Se no, provate. Non è guardonismo, è lavoro psicologico (vabbè). Io cerco sempre di indovinare se si tratti di coppie collau­date, consolidate, nuove, stagionate, stanche, inossidabili o corrose dall’uso. Eccetera.
Se i due sono silenziosi ma anche torvamente immusoniti, con lo sguardo fisso sul didietro della mia macchina, intrappolati in una inco­municabilità per esaurimento di sti­moli, penso subito alla coppia inacidita, alla convivenza fegatosa per abi­tudine. E auguro ai due un imprevi­sto, uno stupore che li rimetta in cir­colo.
Se il silenzio appare invece diste­so, come appagato, sereno e liberamen­te pensoso ne deduci una pausa connivente, un bel tacere condiviso in at­tesa di slanci verbali e affettivi prossi­mi. Quei due si conoscono a memoria e si piacciono così.
Se i due ridono e si guardano spesso e lei si mette una ma­no nei capelli e li scuote e inclina il tor­so verso di lui e lui ha lo sguardo di chi ha pescato alla festa la ballerina giusta, allora la coppia scoppietta, è fresca. Auguro loro di tener duro, an­che quando verrà il tempo di passare al collaudo.
Poi ci sono quelli che par­lano animatamente, forse stanno spar­lando di altri, che è sempre un buon ricostituente.
Talvolta c’è una lei (dal­la mezza età in su: il tempo può ren­dere saggi oppure rognosi) che rampo­gna acida verso un rassegnato compa­gno autista il quale cerca di pensare ad altro, immobile come un totem lo­gorato. O viceversa ci sono guidatori maschi che sbraitano (non c’è audio, c’è solo mimica – la loro e – immagi­nazione – la mia) contro dismesse e suddite compagne di viaggio e di vita, poco consolate da una collana di per­le, da un foulardino.
Un guidatore ac­cigliato e teso sta attento alla prossi­ma ripartenza, tutto concentrato sul­la liberazione del semaforo verde men­tre la sua compagna pigola sul cellu­lare, due separati in macchina.
Altri due ridono, lei abbassa uno specchiet­to celato nel parasole, si aggiusta il trucco, lui è sicuro di sè sulla sua vet­tura nera e lucida: amanti già abitu­dinari?

Fermo davanti a un semaforo, guardo nello specchietto, fotografo gli equipaggi messi lì dalla coda e dal de­stino e mi invento delle storie. E non penso, ingenuo che sono, che magari davanti a me (solo o in compagnia) c’è chi, guidando e sogguardando, mi ha già messo a fuoco e mi sta cuocen­do nella bollitura di un giudizio.

Michele Fazioli

Pubblicato sul Corriere del Ticino il 30 aprile 2012 – per gentile concessione dell’autore