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Da anni l’innovazione economica è al centro dell’agenda politica cantonale. Si tratta di un tema cruciale per il nostro futuro, ancora più importante in periodi di crisi dove la crescita stagna.

Dotarsi di strumenti efficaci per contribuire alla ripresa economica e sociale del Ticino è fondamentale.
Gli aiuti cantonali all’innovazione hanno però senso solo se raggiungono realmente gli scopi prefissi e creano un plusvalore economico con benefici concreti per tutto il sistema paese: dalle imprese ai cittadini, dall’insediamento di nuove strutture produttive sul territorio al conseguimento di una maggiore competitività cantonale.

Nei suoi 13 anni di esistenza la Legge per l’innovazione economica ha prodotto risultati sicuramente positivi.
Le cifre lo attestano: 319 aziende sostenute di cui 189 esistenti e 130 nuove; 2.3 miliardi totali investiti, con contributi a fondo perso di 111 mio; 7.7 mio di esenzioni fiscali a favore di 99 aziende; fondi stanziati per la formazione professionale e per l’ottenimento di certificazioni ISO.
Ma quello che più importa è la creazione di 4’067 nuovi posti di lavoro. Risultati rallegranti che non devono però far credere che l’opera sia conclusa. I cambiamenti economici e strutturali intervenuti in questi anni nel mondo industriale ed aziendale, con la nota globalizzazione, impongono continui adattamenti e la capacità di investire in sempre nuovi settori innovativi e all’avanguardia.
Ciò che era innovativo 10 anni fa, non lo è più oggi. Occorre pertanto concentrarsi su settori e rami economici capaci di generare dei veri e propri centri di competenza che attraggano intorno a sé attività ad alto valore aggiunto. Calamite per nuovi impieghi con concrete ricadute d’ordine finanziario sulla collettività e gli enti pubblici.

L’accurato studio svolto a posteriori sui primi 10 anni di esistenza della Legge ha rivelato alcuni aspetti critici sui quali occorrerà riflettere seriamente. Il primo preoccupa: sembra che la normativa abbia avuto più carattere premiante che incentivante.
Questa è una lacuna che deve essere colmata. Infatti se le aziende investono anche senza il beneficio degli aiuti, i soldi erogati non raggiungono il loro fine. Il secondo: gli aiuti devono essere differenziati e comprendere tutto l’arco delle tipologie economiche, dal settore industriale (con investimenti materiali e di macchinari) alle attività di natura immateriale.
È necessario poi agire su diversi fronti strategici, intensificando il coordinamento fra la politica d’innovazione economica e la politica regionale regolata da fresche leggi. Questi due strumenti debbono diventare complementari e mirare entrambi ad un approccio integrato dello sviluppo economico cantonale.
Inoltre gli aiuti devono essere distribuiti nelle varie regioni del Ticino e non concentrati, come finora pur se con giustificate ragioni, solo nel Sottoceneri. Ciò per poter permettere uno sviluppo più equilibrato fra centri e periferia, fra regioni di pianura con le città e le valli con le zone montagnose.

Si auspicano sostegni sempre più mirati alle aziende per rafforzare i reparti della ricerca, l’occupazione di personale qualificato, l’impiego nel terziario avanzato. Diventa sempre più indispensabile l’introduzione di clausole di salvaguardia per l’impiego di manodopera indigena e l’estensione delle esenzioni fiscali fino a 10 anni.
Con il nuovo modello di valutazione bonus / malus si potranno considerare in maniera più efficace e produttiva le qualità innovative delle aziende, avvantaggiando chi investe nella formazione in ambito giovanile impiegando apprendisti. D’altro lato si penalizzeranno le aziende che erogano bassi salari e il pagamento in euro, sfruttando il dumping salariale.
In sostanza tutto ruota intorno al concetto di crescita.
Senza innovazione ed investimenti nei settori strategici lo sviluppo stagna e l’economia si ferma. Là dove non coglie nel segno o non riesce a raggiungere gli obiettivi la legge va modificata. Se nei prossimi anni i milioni investiti contribuiranno a generare nuovi posti di lavoro in settori ad alto valore aggiunto, a produrre fermento economico e a migliorare le condizioni quadro del paese, allora non si potrà che gioire per lo sviluppo e la crescita conseguiti.

Roberto Badaracco, Deputato in Gran Consiglio