Personalmente non ho dubbi: lo sblocco dei ristorni delle imposte alla fonte è stato prematuro, inopportuno e controproducente. Prematuro, perché concesso solo sulla base di una promessa (o meglio, di una speranza) di avvio dei negoziati fra Roma e Berna. Negoziati che, conoscendo la consistenza del polso dei nostri rappresentanti federali quando si tratta di trattative internazionali – per chiarezza, paragonabile a un semolino molle nel quale si è esagerato con il liquido – sono ben lungi dall’alimentare speranze di qualche concreta soluzione dei nostri problemi. Inopportuno, perché la credibilità del nostro gesto, peraltro significativo se fosse stato portato avanti con determinazione, se n’è andata a pallino. Infine controproducente perché, rendendosi conto dei fastidi che tale “insurrezione” da parte di un cantone può provocare, Berna farà di tutto per prevenirne qualsiasi altro analogo, e gli strumenti di pressione non le mancano (non fosse che il blocco a sua volta di qualche versamento perequativo).

La prima impressione è comunque che il nostro Consiglio di Stato – terrorizzato dal suo stesso coraggio – non aspettasse altro che un pretesto per mollare tutto lasciando di nuovo la totale responsabilità al Consiglio federale. Si pensi soltanto al fatto che il blocco era stato deciso a maggioranza di 3 a 2, e già il terzo consenso (oltre a quello dei due ministri leghisti) era stato ottenuto solo per il 50% del dovuto. Una posizione dunque tutt’altro che di forza e che a giugno, quando ci sarà da decidere sui ristorni del 2011, avrebbe potuto tranquillamente capovolgersi.

È peccato, perché il blocco dei ristorni agiva su diversi fronti. Innanzitutto, quale stimolo ai comuni italiani di frontiera (gli unici a soffrire veramente della situazione) affinché facessero pressione su Roma per trovare una soluzione negoziata. È infatti impensabile che al premier Monti possano importare più di tanto quei 25 o 30 milioni di franchi, quando l’erario dello Stato italiano piange di miliardi e miliardi di euro. Ma moralmente era più difficile fare orecchie da mercante con i propri comuni che piangono perché quei soldi li hanno bisogno. E le recenti dichiarazioni di Monti non fanno sperare in un concreto ripensamento per quanto riguarda le black list, il rinegoziato dell’accordo fiscale sulla tassazione dei capitali italiani in Svizzera e quello inerente ai frontalieri.

Personalmente dubito che Supermario sarà disposto a cedere qualcosa, a lui interessa unicamente lo scambio automatico d’informazioni bancarie per andare a colpire i suoi evasori, e quindi le condizioni che tenterà d’imporre per un eventuale accordo Rubik c’è da scommettere che saranno proibitive.

L’altro fronte su cui agiva la decisione del blocco dei ristorni era interno. Un segnale forte alla Confederazione che il federalismo va bene, ci sentiamo liberi e svizzeri, ma che la Confederazione non può tirare troppo la corda agendo senza cognizione di causa, imponendo decisioni dall’alto sulla base di notizie e informazioni teoriche in netto contrasto con una realtà locale che di fatto non conosce. In questo caso si trattava di accordi con l’Italia, ma domani potrebbe trattarsi dei rustici dei quali anonimi funzionari bernesi vorrebbero decretare la demolizione sulla base di zone rosse o zone blù determinate tracciando qualche arbitraria riga su una carta geografica. Oppure dei centri asilanti appioppati ai cantoni assieme alla responsabilità d’esecuzione di misure la cui competenza è unicamente di Berna. E altri potrebbero essere gli esempi. Con il passare degli anni l’autonomia dei cantoni, rispettivamente anche dei comuni, è andata scemando, ma non altrettanto l’obbligo di passare alla cassa in nome di un federalismo che, alla sua nascita, era concepito in modo ben diverso. Se la Berna federale realizza che tale comportamento può dare adito a moti di ribellione anche nella tranquilla Svizzera, la speranza di un seppur minimo cambio di rotta non è del tutto fuori luogo.

Il Ticino – rispettivamente un pezzo del suo governo – ha avuto il coraggio di ribellarsi e rivendicare un po’ di questa autonomia. Ma, alla luce dei fatti, ha dimostrato che si trattava soltanto di un petardo il cui rumore ha spaventato più chi ne aveva acceso la miccia che non coloro cui era diretto.

Eros N. Mellini
Segretario cantonale UDC


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