Sul “Corriere del Ticino” del 1° giugno 2012 è apparso un interessante commento del Prof. Marco Bernasconi, ex-direttore dell’Amministrazione cantonale delle contribuzioni, su “Rubik e la partita con l’Italia”. Siamo tutti sommersi da innumerevoli incombenze e manca spesso il tempo per seguire, anche solo superficialmente, tutte le principali questioni politiche all’ordine del giorno nel nostro paese e nel mondo, ai vari livelli.

Ci era quindi sfuggito un aspetto dell’accordo, firmato qualche tempo fa dalla CH con la Germania, che Marco Bernasconi illustra nel citato articolo: la somma che le banche svizzere anticiperebbero al fisco germanico indipendentemente e prima ancora di avere incassato dai clienti germanici eventualmente intenzionati a regolarizzare la loro posizione con il fisco del proprio paese; somma che è fissata in 2 miliardi di franchi e che poi ovviamente le banche dedurrebbero dall’ammontare complessivo dovuto dai clienti tedeschi che andranno a dichiararsi (ma quanti saranno poi a farlo, viste le penali ch’essi dovrebbero pagare: dal 21% al 41% secco dei loro averi non dichiarati e depositati in Svizzera nel passato, da aggiungere beninteso alla tassazione annuale da oggi innanzi…?).

Il Consiglio federale asserisce nel messaggio alle Camere che lo scopo di questo pagamento anticipato è di incoraggiare le banche ad attuare correttamente la regolarizzazione a posteriori secondo la convenzione, e il ragionamento teoricamente potrebbe anche stare, visti i precedenti di alcuni anni fa. Ma la domanda posta sopra resta: quanti saranno poi i clienti germanici ad accettare un simile salasso? Personalmente se fossi uno di loro, nel frattempo avrei già fatto trasferire buona parte dei miei averi a Singapore o a Hong Kong o non so dove, per sottrarmi a un tale salasso di carattere quasi confiscatorio…

Fatta questa premessa, un accordo con tale clausola assomiglia molto a un accordo-capestro … che rammenta quel famoso accordo “volontario” che banche e mondo economico svizzero nel suo complesso accettarono di sottoscrivere alla fine degli anni ’90 con la nota lobby finanziaria ebraico-nuovayorkese, che molti giudicarono non a torto come un cedimento a un ricatto tramite il pagamento di una cauzione liberatoria.

Alla luce di quanto sopra, c’è da chiedersi onestamente perché una parte del mondo bancario e dell’establishment svizzero abbia accettato un trattato di questo tenore. Il nostro Paese e le banche stesse credono forse di potere guadagnarci o, detto meglio, di rimediare con ciò a una parte consistente delle perdite prevedibili in caso di fuga generalizzata dei clienti esteri in Svizzera (fuga che potrebbe conseguire a un braccio di ferro prolungato tra Svizzera e Germania nel quale quest’ultima, con mezzidi pressione legali o illegali, costringerebbe molti suoi concittadini con conti in Svizzera a rientrare e
a dichiararsi)?

La fuga dalla Svizzera di capitali tedeschi (e ev. di altri Paesi con cui sottoscrivessimo accordi analoghi) ci sarebbe in ogni caso anche se l’accordo andasse in porto, considerato l’importo assai penalizzante che i loro detentori dovrebbero pagare per ottenere la regolarizzazione. Perciò, alla luce di quanto detto, che senso ha l’accordo? Forse si vuole solo mettere agli atti a futura memoria che la Svizzera é stata al gioco e l’ha giocato fino in fondo (quantunque non ne trarrebbe alcun vantaggio), mettendo in conto o dando ormai per scontatoche l’accordo verrà silurato da parte tedesca (dopo le recenti elezioni è quasi certo ormai che la Camera dei Länder lo boccerà o nella migliore delle ipotesi lo rinvierà e con ciò silurandolo, dato che è probabile che le prossime elezioni le vincerà la SPD o comunque non le vincerà più l’attuale coalizione e i partiti dovranno accordarsi su posizioni “di compromesso”)? O forse alcune grosse banche svizzere, a cui nonostante tutto i partiti di centro prestano orecchio (non fosse altro perché sono stati foraggiati per decenni dalle stesse), intendono non tanto salvare dei depositi germanici dati ormai per perduti, quanto piuttosto tutelare le loro attività in Germania da sempre possibili penalizzazioni più o meno mascherate? In questa questione il mondo bancario svizzero forse non è compatto e si divide fra chi è prevalentemente o quasi esclusivamente gestore di patrimoni e chi invece (come le grosse banche) ha interessi più diversificati ed è più imbricato con le economie dei Paesi a noi vicini (Germania in primis, ma anche Italia, ecc.).

Noi non siamo esperti finanziari, ma non pensiamo di sbagliarci di molto. Resta comunque una perplessità notevole di fronte all’accettazione da parte delle Camere di questo accordo. Il principio poteva ben andare, ma i tassi penalizzanti lo rendono risibile e dunque forse inefficace; e soprattutto il “dettaglio” illustrato dal Prof. Marco Bernasconi lo rende non molto meno ostico di quanto possa essere ostico per un corretto cassiere di una agenzia bancaria consegnare il malloppo a dei rapinatori armati…..O il Consiglio federale e le banche svizzere intendono forse impedire proditoriamente ai clienti tedeschi di trasferirsi altrove per sfuggire alla mannaia fiscalista teutonica, tradendo in tal modo (come già fatto con l’accordo con gli USA) il rapporto di fiducia con i propri clienti?? in tal caso però la fuga dalla Svizzera e il ridimensionamento del giro d’affari delle banche svizzere rischierebbe di essere ancora più massiccio, perché si creerebbe una tale sfiducia nell’affidabilità del nostro Paese e tale che esso potrebbe venir lasciato non solo da clienti germanici e inglesi e americani ma da innumerevoli altri (leggasi: capitali dal Medio e Estremo Oriente, ecc.).

Un altro aspetto che francamente sconcerta è che un accordo con penalità così pesanti venga ancora considerato dall’opposizione tedesca (SPD e Grüne) come troppo accondiscendente verso gli evasori! Costoro vogliono forse una tassazione del 100% degli alti redditi, come recentemente un candidato un po’ folkloristico (e dal simpatico accento d’ Oc) alle presidenziali francesi sosteneva?? Se è così, forse ci conviene attendere qualche mese o qualche anno finché in Germania, in Italia e forse anche in altri Paesi vinceranno vari movimenti (Pirati, Grillini, ecc.) ma tutti accomunati da una radicale protesta antifiscalista… Insomma piuttosto che cedere dovremmo confidare fiduciosi che presto o tardi gli Stati super-indebitati a noi vicini dovranno correggere la loro inveterata prassi di volere tendere a pareggiare i conti spremendo il limone fiscale: si debbono rassegnare, ciò non è più possibile e occorre per contro una politica di radicale correzione della spesa pubblica e di ridimensionamento del debito pubblico.

Se a quanto sopra detto aggiungiamo poi un altro aspetto evidenziato da una recente interpellanza alle Camere di Pierre Rusconi, secondo cui questi previsti trattati non sarebbero muniti di reciprocità (e non valgono, poniamo, per i cittadini svizzeri che hanno depositi in Austria o in Gran Bretagna ma solo per l’inverso), diremmo che ce n’è a sufficienza e di avanzo per giustificare la sottoscrizione del referendum che l’ASNI ha già annunciato di volere promuovere!

Paolo Camillo Minotti
(già granconsigliere UDC)