Paolo Camillo Minotti – “Millo” per gli amici – è uno dei commentatori più amati dal popolo di Ticinolive. Egli ci presenta oggi un articolo di grande attualità sull’abolizione dei “famigerati” livelli nella scuola media ticinese. Il pezzo è tratto dalle Cronache dell’ALS di giugno 2012.


A proposito di livelli nella scuola media

I Verdi, alla affannosa ricerca di profilarsi in un modo o nell’altro, hanno proposto recentemente l’abolizione dei “livelli” nella scuola media. Il tema è ovviamente sentito nelle famiglie con figli che frequentano le scuole medie (o che le hanno frequentate di recente), perché il problema esiste: più precisamente il problema della demotivazione e degli insuccessi scolastici di chi frequenta i livelli B, con ricadute pure sulle prospettive professionali dei ragazzi interessati. È però molto dubbio che la proposta dei Verdi sia la soluzione adeguata a questo problema, perché assomiglia un po’ a quella di colui che, di fronte alla febbre alta, proponesse di sopprimere il termometro.

Abolire i livelli nella scuola media? Tutti penso sapranno cosa siano i livelli: si tratta di una differenziazione di livello di insegnamento, all’interno di una stessa classe di scuola media, per alcune materie oggettivamente difficili e dove si constata una grossa disparità nella capacità (e nella velocità) di apprendimento fra gli allievi della classe. Le materie soggette ai livelli sono la matematica e il tedesco. Di principio nei due livelli si fa lo stesso programma, con la sola differenza che nel primo livello il programma viene assimilato più facilmente che nel secondo livello, mentre nel secondo livello si indugia un po’ di più nello spiegare certi concetti, si ripete un po’ di più, e alla fine forse ci si porta avanti un po’ meno ma quel che si è fatto però dovrebbe restare comunque.

I livelli furono un compromesso, forse non molto soddisfacente ma non se ne è trovato finora un altro migliore, tra la volontà di tenere fermo al principio della scuola media unica da un lato e , dall’altro lato, l’esigenza generalmente sentita di permettere a chi è in grado di farlo di assimilare certi concetti basilari e di portarsi avanti, soprattutto in vista della continuazione degli studi liceali ma non necessariamente solo per questo. Il divario che sussiste nelle classi è infatti talvolta abissale e la rinuncia ai livelli (e la conseguente applicazione in tutte le materie di una classe rigorosamente unica) significherebbe un pauroso livellamento verso il basso dell’insegnamento. E va considerato che il livello attuale di apprendimento già non è eccellente con la situazione attuale, se è vero che chi intraprende il liceo si trova spesso confrontato a grosse difficoltà e nelle prime liceo vi è notoriamente una grossa percentuale di bocciature.

Ho ascoltato recentemente su questo tema un dibattito su “Teleticino” a cui partecipavano Sergio Savoia, il direttore del DECS Manuele Bertoli, il giornalista Andrea Leoni (favorevoli alla soppressione dei livelli), e dall’altra parte Maurizio Agustoni, il direttore di scuola Franco Lazzarotto e la granconsigliera leghista Amanda Rückert (tendenzialmente contrari, quest’ultima a dire il vero in modo molto blando). Sergio Savoia dominava indiscutibilmente, come si può immaginare, il dibattito con la sua innegabile dialettica. Ciò non vuol dire che egli abbia ragione o che non sia mai incorso in contraddizioni, ma semplicemente che i suoi contradditori non erano capaci di evidenziarle e di tenergli testa. Pure Bertoli, sia pure in modo più prudente perché la carica che ricopre glielo impone, si è detto favorevole all’abolizione a medio termine dei livelli, che dovrebbero essere compensati (udite, udite!) dalla diminuzione degli allievi per classe e da un potenziamento del sostegno pedagogico. Bertoli ha affermato che andrà fatta una “verifica” in tal senso. A quanti allievi per classe si vuole andare: a 10 allievi per classe? Perché è chiaro che se si passa da 22 a 20 non cambierà nulla. Noi auspichiamo solo che vengano considerate nella “verifica” anche le implicazioni finanziarie dell’operazione…

Non ricordo più se sia Savoia oppure Bertoli che, a un certo punto, ne ha detto una piuttosto grossa, una vera e propria “perla rara” delle sciocchezze: “In Cina sì che hanno riconosciuto il valore della cultura e della formazione di base, talché negli ultimi anni hanno allocato maggiori risorse finanziarie per questi settori che sono il futuro del Paese; non come da noi, o nei Paesi occidentali in generale, dove si tende a risparmiare sulla scuola e sull’università”. Io non ho molti contatti con la realtà cinese, però a lume di naso mi sento di rispondere nel seguente modo: sicuramente la Cina avrà aumentato le risorse per la scuola e la formazione universitaria, ma da quanto ne so la “filosofia” confuciano-capitalista-nazional-comunista applicata alla scuola cinese non è certo la stessa prediletta da Bertoli e Savoia e non è sicuramente la “filosofia della facilità” sessantottina, del “tutti uguali e volemose bene”, dell’ “aboliamo i livelli perché tanto quello che conta è l’integrazione nella classe e un po’ di cultura per tutti e non la scuola funzionale alla competizione economicistica”.

La Cina degli eredi di Deng Xiao Ping è agli antipodi di questo laisser aller postsessantottino che affligge (chi più chi meno) un po’ tutti i Paesi occidentali. Nella cultura orientale (lo stesso discorso vale anche per il Giappone e la Corea) c’è sicuramente una forte componente comunitaria, un senso di appartenenza al gruppo (alla famiglia, al clan, alla ditta, alla nazione) molto più forte che nell’odierno Occidente, ma questo convive con uno spiccato senso della competizione, una competizione che può essere (per occhi occidentali un po’ “rammolliti”) anche abbastanza dura. Questo in specie nella scuola e nell’educazione dei giovani, dove vigono in genere regole ferree, che sono imposte forse più dalle famiglie che dallo Stato, ma anche quest’ultimo ne prende atto e non sta quindi a correre dietro ai ragazzi che restano indietro; i ragazzi che restano indietro saranno operai poco qualificati e poco pagati e non ci si cura più di tanto del loro destino; per contro grande attenzione viene data al miglioramento del livello delle università, della ricerca e del progresso tecnologico e scientifico. Insomma, la Cina comunista punta sulla scuola d’élite e la vuole di prima qualità; questo è visto come un compito nel supremo interesse nazionale. Altro che vagheggiamenti sessantottini ritardati sulla necessità di portare tutti a un certo livello (N.B.: tendenzialmente basso) eccetera eccetera.

Quindi, è vero forse che dovremmo imparare qualcosa dalla mentalità orientale (e anche dal modo orientale di educare i figli). Ma ciò non porterebbe certo nel senso di combattere i livelli, la meritocrazia, lo sforzo e la competizione; semmai porterebbe proprio all’opposto: restaurare un po’ d’autorità (nelle famiglie e nella scuola), ripristinare un po’ di disciplina nella scuola, promuovere maggiore applicazione allo studio, anche attraverso una selezione puntuale (che non è beninteso un fine in sé stesso, ma un mezzo per favorire l’applicazione e la riuscita scolastica). Quanto postulato da Savoia, Bertoli e Leoni è dunque ideologia stantìa e marcescente, fuffa di nessun valore e buona sola per abbindolare gli sciocchi.

Il signor Leoni faceva un discorso particolarmente sconclusionato, portando la sua biografia personale a dimostrazione che i livelli e la selezione nella scuola media non sono efficaci. A parte il fatto che non si può valutare la bontà di una prassi o di una norma basandosi solo sulla propria esperienza soggettiva, ma il discorso di Leoni comunque non regge: in sostanza egli diceva: io avevo difficoltà a seguire nella scuola media, ma non ero stupido perché nel seguito mi sono arrangiato non male, facendomi strada come giornalista eccetera. E allora? Non sarà mica l’unico che stentava a scuola e poi nella vita ha recuperato: ma questo non prova che bisogna rendere meno esigente la scuola! Leoni dice: a quell’età non ha senso fare selezione, perché non si è maturi; bisogna farla semmai più tardi. E io rispondo: quando più tardi? Quando si è nonni? Proprio l’esempio cinese e l’odierna competizione globale dimostrano che non c’è tempo da perdere, non si può impiegare quindici anni a imparare ciò che altrove viene appreso in 10. Eppoi, il dramma vero è che la scuola media in cui Leoni dice di avere avuto difficoltà, non era per nulla selettiva…

Certo che i livelli non sono il toccasana, ma ci vorrebbe ben altro. Personalmente su questo giornale ho già detto la mia opinione su quella che sarebbe una opportuna riforma della griglia oraria e delle modalità di insegnamento delle lingue straniere (in particolare del tedesco). E mi ha fatto piacere che l’on. Bertoli ultimamente abbia detto, sia pure timidamente e con prudenza, qualcosa di analogo: egli ha infatti auspicato un alleggerimento della griglia oraria e ha pure deciso (se abbiamo ben capito) di diminuire di un’ora l’inglese in terza media. Una timida, modestissima misura, ma che va nella giusta direzione: non ha senso infatti caricare l’allievo di due o tre o quattro lingue, ma non dargli solide basi in nessuna di esse! Occorrerà un bel giorno arrivare a una riforma radicale di questo settore. In conclusione: i livelli non sono il nec plus ultra, ma abolirli sarebbe una sciocchezza. Sarebbe come, a un malato sofferente in ospedale che i medici non sono in grado di guarire del tutto, se gli si togliesse pure le cure palliative che gli attenuano i dolori…