Pubblichiamo con piacere un divertente (e amaro) articolo di Eros Nicola Mellini. Il macello di Cresciano vi viene paragonato, con audace volo pindarico… all’UBS!

Quando nel 2004 fu presentato il messaggio al Gran Consiglio richiedente il credito di 1,5 milioni quale contributo unico e di quasi un milione quale credito LIM per il macello cantonale di Cresciano, i dichiaratamente contrari in Gran Consiglio furono l’UDC, con interventi di Philipp Isenburg e del sottoscritto, nonché i Verdi, capitanati dal fu Giorgio Canonica. Ci furono pure altri interventi critici da parte di Tullio Righinetti e Iris Canonica, smorzatisi però in fase di dibattito. Per onore di cronaca, Tullio Righinetti propose formalmente il rinvio del messaggio in commissione per un approfondimento.

Le opposizioni vertevano sostanzialmente su due punti: la sovradimensione del progetto (del tutto basata su dati ipotetici quale l’automatico flusso di capi da macellare a quel momento assorbiti da macelli in via di chiusura, il ritorno alla macellazione in Ticino di capi a quell’epoca abbattuti in Svizzera interna, eccetera), e l’insufficiente approfondimento del progetto concorrente di Rivera, più modesto nelle dimensioni, ma che oggi si dimostrerebbe molto più vicino alla realtà.

Penso che comunque, a far pendere la bilancia verso la decisione di concedere il credito, fu di non indifferente importanza la dichiarazione dell’allora Capo-Dipartimento Finanze ed Economia, secondo la quale “il Cantone, e ciò deve essere molto chiaro, così come vuole il legislatore, non parteciperà in alcun caso ai costi di gestione corrente. In particolare non parteciperà alla copertura di eventuali disavanzi della struttura che verrà sussidiata. Ciò significa anche che i rimborsi del prestito LIM dovranno essere regolari e puntuali.”

In ottobre del 2006 il Gran Consiglio discusse di nuovo il tema, a seguito del messaggio del Consiglio di Stato che chiedeva in sostanza la conferma degli stessi crediti. E di nuovo l’UDC, per bocca del suo deputato Isenburg, ribadì la sua opposizione per il sovradimensionamento ancora esistente nonostante un «un lavoro certosino di ridimensionamento del progetto per poter rientrare nei parametri previsti» (rapporto della commissione). Ridimensionamento che avrebbe – secondo noi ma così non era il caso – dovuto comportare anche una riduzione dei costi.

Il 12 aprile di quest’anno, a seguito delle preoccupanti notizie apparse nella stampa, il sottoscritto inoltrava al Governo un’interrogazione, alla quale il Consiglio di Stato non è che abbia peraltro potuto dare una risposta tranquillizzante. Sulla domanda a sapere se “Se il progetto ridimensionato – nelle dimensioni, non nel credito concesso – è ancora così abbondantemente sovradimensionato, quali sono le ragioni di un così pacchiano errore di valutazione? E chi ne è responsabile?”, la risposta svicola riferendosi a sorpassi di spesa dei quali non ero peraltro a conoscenza. Ma al sugo della domanda, ossia: nonostante il ridimensionamento, il break even per una buona redditività della struttura era fissato a 1’200 tonnellate di carne macellata annualmente, con 900 si potrebbe sopravvivere, ma le cifre reali parlano di 560, chi è responsabile di questo errore?, non si dà alcuna risposta.

Nella risposta si accenna poi al fatto che “nonostante queste chiusure (di una decina di macelli più piccoli, NdR), i volumi di carne macellata non sono confluiti automaticamente verso il macello di interesse cantonale di Cresciano, ma hanno seguito altri canali di macellazione. Ma va? Ma non era stato un dato su cui si basava la massa critica per far rendere il mattatoio?

Infine, il CdS ammette che “. Inoltre, fattore questo non secondario, il mercato della carne in Ticino sta cambiando: i numeri di bovini sono in costante diminuzione e questo ha comportato una crisi generale del settore della macellazione, malgrado sia comprovato il fatto che il macello di interesse cantonale sia un’opera necessaria per l’allevamento ticinese”. Necessaria probabilmente sì, ma non nelle dimensioni progettate (e soprattutto ai relativi costi). E la diminuzione suddetta era peraltro già menzionata nel messaggio del 2004. Questo infatti riportava una tabella dimostrante come, dal 1941 al 2002, i capi di bestiame macellati in Ticino erano progressivamente scesi da 57’660 a 15’200.

Riporto qui di seguito alcune frasi dell’infervorato intervento del relatore Nello Croce durante il dibattito in Gran Consiglio del 23 ottobre 2006. “Il gruppo UDC è convinto di aver ragione, oggi come due anni fa: ma non è vero, la dimensione del macello non era e non è esagerata!“ E più avanti: “Ribadisco che non ritengo il progetto esagerato per il Ticino: non è vero che il quantitativo di carne macellata è in diminuzione, perché negli ultimi anni le cifre sono rimaste invariate.” .

Il resto è storia recente. La ditta che gestiva il mattatoio, la MATI SA, ha consegnato i bilanci. Il Ticino ha (forse) bisogno di un macello cantonale, in ogni caso c’è lì una struttura alla quale il Cantone ha contribuito con quasi 3 milioni di franchi, che è un po’ come l’UBS: too big to fail. È infatti logico che il Cantone intervenga in qualche modo per salvarla, vista anche l’oggettiva difficoltà di riconvertirla in qualcosa d’altro, oltre che l’utilità di disporre di un macello di interesse cantonale. Magari una possibilità sarebbe quella di tentarne una vendita all’asta cercando di ricuperare qualcosa dell’investimento, ma io stesso non ci credo molto anzi, intravedo diverse difficoltà di non poco conto, a partire dalla proprietà del sedime che è del Patriziato.

In ogni caso, qualsiasi sia la soluzione – perché senz’altro se ne troverà una – Banca Stato e Cantone, per non parlare di eventuali fornitori legati alla gestione corrente, dovranno rimetterci. E non è giusto. Il minimo che si possa chiedere al Consiglio di Stato è che s’identifichino una volta tanto i responsabili – promotori dell’iniziativa, progettisti, gestori, anche quelli politici che con le loro scorrette affermazioni hanno influenzato la decisione parlamentare – e che a nessuno di loro, ma proprio a nessuno, sia permesso di essere ancora coinvolto nell’attività futura della struttura.

Eros N. Mellini
Deputato UDC in Gran Consiglio


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