Nel testo spunta la parola “ricatto”


Caro e cara docente,

in un periodo di crisi diffusa è inevitabile che si debbano fare delle scelte dolorose. È da parecchi anni che di vacche grasse non ce ne sono più e occorre, quindi, rivedere alcuni parametri per non finire come i nostri vicini tricolore o la terra dei filosofi dell’antichità. Altrimenti bisogna passare dalle piccole correzioni al macete montiano.

Quando molti di noi erano ancora un semplice progetto nella mente dei nostri genitori, la Cassa pensioni dello Stato è stata modulata in modo tale che il pensionamento fosse doratamente spensierato. Purtroppo, con il mutare della struttura della società, questo sistema mostra falle che ricordano lo scafo della nave Concordia (quasi due miliardi di debito, pari a 5’800 franchi a cranio, con un grado di copertura che non arriva nemmeno al 63%). Tuttavia, quelli che devono immergersi per saldarle sono tutti i cittadini, e soprattutto chi davanti a sé ha parecchi anni da vivere, quindi da contribuire. Noi giovani, soprattutto.

Il contributo di solidarietà richiesto ai dipendenti dello Stato concorrerà al risanamento di un sistema che è strutturalmente problematico e poco solidale dal punto di vista intergenerazionale. Se il settore privato (tra l’altro anch’esso, attraverso le imposte, chiamato a contribuire!) vive periodi di forte precarizzazione, di licenziamenti, di riduzione della percentuale d’occupazione, di forte concorrenza estera (soprattutto in termini di salari e forza lavoro), il settore pubblico è toccato piuttosto marginalmente da queste preoccupazioni. Al di là di alcuni stereotipi e luoghi comuni, i vantaggi delle condizioni contrattuali dei funzionari rimangono vantaggiose, soprattutto con le nomine … Ad ogni modo, riconosciamo e apprezziamo il fatto che dal ’90 ci sono state diverse misure di risparmio – una ventina – che hanno toccato i dipendenti pubblici, che non vanno quindi ritenuti come una casta blindata.

Tuttavia, ci sorprende la scelta di alcuni professori di ricorrere a una delicata sorta di ricatto: la soppressione delle passeggiate. Una scelta largamente condivisa in quel del LiLu1, ma che sembra contagiare anche altri istituti. Ora, è ovvio che non vogliamo una situazione lavorativa in stile Foxconn. Anzi. I docenti, rispetto ad altre funzioni all’interno dei dipendenti pubblici, dovrebbero godere di uno statuto speciale, poiché l’educazione scolastica è sul podio delle priorità di uno Stato. Non condividiamo la retorica per cui ogni funzione ha la stessa massima importanza: ci sono delle sacrosante priorità, e la formazione è una di queste. Potremmo anche entrare nel merito e discutere se il taglio del 2% possa essere cancellato (e non lo diciamo per farci arrotondare le note per eccesso).

Tuttavia, cari docenti, ci sembra che utilizzare gli allievi per un’azione politica sia inelegante (non si usano gli allievi per questioni politiche), concettualmente sbagliato (il corpo docenti è al servizio dei giovani e dell’educazione, non viceversa) e controproducente (non vi attirate di certo simpatie). Le passeggiate sono momenti non solo di svago. Sono spazi in cui ci si relaziona, si scoprono luoghi e storie differenti, si interagisce con i professori in modo diverso. Entrano a pieno titolo negli album degli aneddoti, delle esperienze. Questi momenti non possono essere la moneta di scambio per una discussione, quella contrattuale e salariale – che esula dalle aule scolastiche e dallo stretto rapporto allievo-docente. È una reazione immatura da parte di chi la maturità dovrebbe attestarla. D’ora di giugno avete quindi ancora tempo, altrimenti non possiamo che mettere un 3 in condotta. Senza appello.

A nome dei Giovani Liberali Radicali Ticinesi
Giovanni Poloni