Dare nelle assunzioni la priorità ai disoccupati ticinesi, sul modello di quel che accade nel Canton Ginevra, è tecnicamente possibile. A dirlo è il capo della Sezione del lavoro del DFE, Sandro Montorfani, in un’intervista al portale liberatv.

Il modello ginevrino prevede quanto segue: nel settore pubblico e parapubblico, quando si vuole procedere ad un’assunzione, occorre coinvolgere prima l’ufficio del lavoro, il quale fornirà alcuni profili adatti, attingendo dal bacino dei senza lavoro iscritti. Un rifiuto di tutti i candidati da parte del datore di lavoro deve essere motivato per iscritto. Può venire contestato. Assunzioni all’estero, ossia di frontalieri, si possono dunque fare – stiamo parlando sempre dello stato e del parastato – solo come ultima ratio.

A Ginevra i frontalieri sono circa 70mila. Ma su un totale di mezzo milione di abitanti. Quindi in proporzione il problema è meno grave che in Ticino. Anche la soluzione trovata da Ginevra ha, ovviamente, dei punti deboli. In effetti se la priorità deve essere data ai disoccupati residenti, ne consegue chi è residente ma disoccupato non è – o quanto meno non figura iscritto alla disoccupazione – non può usufruire della corsia preferenziale.

Il dato importante è però la priorità che viene data ai residenti nelle assunzioni. Questa scelta di tipo politico non è, come si immaginerà, piaciuta ai vicini francesi. Non per questo però sul Lemano hanno cambiato idea. Non ci stancheremo mai di ripeterlo. La priorità è fare gli interessi della popolazione. Non essere sempre in regola – autodanneggiandosi – con ogni cavillo del diritto internazionale.

Sarà poi anche vero, come osservava nei giorni scorsi il capo della Sezione del lavoro del DFE Sandro Montorfani, che a Ginvera il settore pubblico e parapubblico è un datore di lavoro più importante rispetto al Ticino. Questo però non impedisce affatto che anche da noi si adotti una soluzione come quella trovata sul Lemano. Che potrebbe anche fare scuola nel settore privato.

La misura mutuata da Ginevra dovrebbe anzi entrare a far parte di un pacchetto di provvedimenti mirati ad arginare la libera circolazione delle persone, utilizzando strumenti burocratici. Nel citato pacchetto dovrebbero confluire anche modalità diverse di rilascio dei nuovi permessi G. Nei settori in cui la sostituzione di residenti con frontalieri è notoria, vedi il terziario amministrativo dove di sicuro non mancano i candidati ticinesi disponibili, non è pensabile che i permessi G vengano rilasciati in pochi giorni. Per scoraggiare chi assume frontalieri al posto dei ticinesi, la procedura deve essere lunga e macchinosa. La durata della validità del permesso dovrebbe poi essere ridotta, ciò che potrebbe anche consentire dei mancati rinnovi. Inoltre, non sta né in cielo né in terra che i padroncini possano lavorare in Ticino semplicemente annunciandosi via e-mail. Anche qui, occorrere mette ben altri paletti e requisiti.

Queste misure vanno attuate subito, in attesa che la libera circolazione delle persone salti. Ipotesi non poi così peregrina, visto che l’accettanza popolare declina. In caso di nuove votazioni sul tema (che ci saranno di sicuro) non è detto che dalle urne esca ancora un sì. Oltretutto la stessa UE, con la consueta arroganza, mette in discussione la via bilaterale. E allora, la politica federale deve prioritariamente preparare il futuro della Svizzera senza Bilaterali. Si tratta, quindi, di elaborare quella che in inglese si chiama “exit strategy”.

Lorenzo Quadri
Consigliere nazionale e Municipale
Lega dei Ticinesi