Complice la guerra monetaria in atto, massicce quantità di lingotti e contratti di oro stanno passando di mano da ovest verso est.

Le esportazioni del metallo “non monetario” (cioè escluse le operazioni delle banche centrali) sono balzate del 43% in dicembre rispetto al mese precedente, attestandosi a 4 miliardi di dollari, secondo i dati pubblicati dal Dipartimento del Commercio americano (di questi 4 miliardi, circa la metà sono da ascrivere a Hong Kong).
Si tratta della somma più alta e del rialzo mese su mese più elevato negli Stati Uniti dal settembre 2011, quando l’oro aveva raggiunto la quota record di 1.920 dollari l’oncia.

Il G7 aveva ribadito l’impegno a non varare politiche volte a cambiare i tassi di cambio, che solo i mercati possono far oscillare, ma le dichiarazioni secondo cui le politiche fiscali e monetarie non devono essere dirette alla svalutazione della moneta nazionale non sempre corrispondono ai fatti.
Le politiche attuate dai governi di Stati Uniti e Giappone tendono a tenere basso il valore di dollaro e yen per far fronte alla grave crisi economica e commerciale.

Le preoccupazioni circa le pressioni inflative e la guerra valuarie hanno aumentato nettamente il numero di voci favorevoli al ritorno di un tasso di cambio fisso e di un sistema aureo.
Il rischio è quello di finire in un contesto di inflazione diffusa a livello mondiale nei prossimi anni. Senza dimenticare la perdita di credibilità delle banche centrali.
Un ritorno al sistema aureo sarebbe – a detta di taluni economisti – la risposta alla guerra monetaria in atto e ai conseguenti rischi d’inflazione. Un sistema che riporterebbe crescita economica e stabilità finanziaria.

(Fonte : Wall Street Italia.com)