Cedo oggi, domenica di Pasqua, l’Editoriale all’amico Gianfranco, perché non ho pronto nulla (ma sto preparando una sorpresa sull’epica battaglia luganese, lunga ed estenuante, snervante, giunta ormai in dirittura d’arrivo).

Il dottor Soldati dalle Canarie ha scritto a Pontiggia (loro sono grandi amici ma si danno, da sempre, formalmente del “Lei”) e poi anche a me. Questo articolo è notevole, mi ha toccato nel profondo e mi ha riportato con la mente a molti anni or sono (che rimpianti!) quand’ero bambino, poi ragazzetto e adolescente. Io vedevo – lo ricordo vividamente – gli Americani come una forza poderosa e buona, l’unica capace di proteggere l’Europa libera dalla grave minaccia dell’Impero sovietico. Ero troppo giovane e troppo ingenuo, allora? Forse. O non sono piuttosto cambiati i tempi?

Ah, dimenticavo. Buona Pasqua da Tenerife e dal Ticino (Bonnie e Francesco) a tutti gli affezionati lettori di Ticinolive!


Caro Signor Pontiggia,

Non si spaventi, so che gli USA ci hanno evitato di finire sotto il tallone del “padre dei popoli” e che forse ci eviteranno un roseo futuro agli ordini dei discendenti di Mao Tse Tung, ma quello che descrivo mi sembra essere la semplice constatazione di quanto accaduto negli ultimi decenni. (…)

 

Leggiamo ora insieme “Anniversari di pace”

Gli interventi degli USA in favore di pace (peace keping) e democrazia non si contano più. Nel loro sforzo generoso e altruista non esitano, in carenza di ragioni plausibili per il loro operare, ad inventare pretesti da vendere poi come oro colato. Per farlo si basano su una lunge esperienza, divenuta col tempo tradizione, a partire all’incirca dalla metà del 19mo secolo, quando finsero, per poter attaccare  Cuba, allora spagnola, l’affondamento di una loro cannoniera, se non erro al largo appunto di Cuba. Per poter imporre pace e democrazia al Vietnam del Nord dopo la sconfitta dei francesi a Dien Bien Phu inventarono di sana pianta il siluramento di una loro controtorpediniera nel golfo del Tonchino, come fu costretto ad ammettere pubblicamente lo stesso ministro della difesa Robert Mac Namara.

I pretestuosi bombardamenti della Serbia, decisi motu proprio e costati distruzioni e morti  con un corollario di insicurezza politica non ancora risolto, dovrebbero ancora essere nella memoria di tutti. Per l’Irak di Saddam Hussein si finse la ricerca di armi di distruzione di massa, che di fatto esistevano in quantità enormi, ma solo in casa propria. Nella terra tra i due fiumi (Mesopotamia, oggi Irak, potamos essendo fiume in greco) di armi di distruzione di massa non esisteva neanche una fotografia. Il risultato, nel nome di pace e democrazia, fu una guerra iniziata il 20 marzo 2003 e teoricamente (spiegherò dopo perché parlo di teoria) terminata nel dicembre 2011. Costo in vite umane: prima di tutto 4’500 poveri e giovani eroi statunitensi (da farne un romanzo o un film, di cui non conosco il testo ma solo il titolo, “Vite sprecate”), un migliaio di militi dei paesi subalterni e cooperanti, tra cui 39 italiani, da una parte. Dall’altra, quella dei poveri mesopotamici, più conosciuti come iracheni, 112’000 civili morti, 170’000 se si contano anche i militari, stando a quanto scrive “Irak Body Count”, un’organizzazione che come dice il nome si occupa di questi conteggi.

Le statistiche (Stalin diceva che un morto è una tragedia, 25’000 sono una statistica) a questo proposito divergono, ma concordano nel dire che si tratta di più di un centinaio di migliaia di morti. Senza contare i mutilati e gli storpiati, nel corpo e nell’animo. Dicevo sopra di fine teorica della guerra, perché, con grande sorpresa di nessuno, alla guerra non sono subentrate le sorelle pace e democrazia: alla guerra militare è succeduta la guerra civile, tra sunniti, sciiti e curdi, con una serie di attentati, lotte tribali, assassini e soprusi vari che dura e perdura. Il 19 marzo 2013, vigilia del decimo anniversario dall’inizio del “peace keping” iracheno, i morti in attentati “kamikaze” sono stati 61, i feriti circa 200. Per oggi, 10mo anniversario, pronostico grandi festeggiamenti; i morti si potranno contare solo a mezzanotte.

I media internazionali i feriti non li contano più: a questi deve bastare la fortuna di essere sopravvissuti, più o meno mutilati e resi sordi (ma migliorano: oggi sono solo ipoudenti) dal violento trauma acustico dello scoppio. Costi finanziari: si parla di 700 miliardi di dollari di spese militari e di altri 800 miliardi di aiuti per la ricostruzione del paese, una bazzecola però per un paese come gli USA che dispone di una FED  dotata delle più potenti rotative del mondo. Il sollevatore di pesi, ho dimenticato il suo nome, assurto alla celebrità per aver abbattuto la statua di Sadam Hussein (9 aprile 2003, avremo presto un altro bel anniversario di pace e liberazione!), si è dichiarato pentito del suo gesto: “allora avevamo un dittatore, adesso ne abbiamo almeno cento”. E cosa dire allora degli impudenti che nel 2009 hanno dato il Nobel della pace a Obama? Sono gli stessi personaggi che 2 anni dopo hanno  perfezionato il capolavoro dando il premio all’UE. Meglio tacere.

Fortunatamente gli USA hanno tratto insegnamento dai risultati, in termini di perdite di vite, di distruzioni, di sofferenze inaudite causate dalla loro inesausta sete di predominio, potenza e ricchezza, e hanno anche capito che, oltre a non essere più in grado di vincere contro guerriglie agguerrite, non ottengono altro risultato che quello di farsi odiare da intere popolazioni. La loro strategia è rimasta immutata: prevaricare e prevalere. Cambiata è invece la tattica: “leading from behind” la chiamano, guidare stando dietro le quinte, potremmo tradurre. Con l’Inghilterra, alleata genetica e serva fedele dall’epoca del  crollo del Commonwealth, e con le altre nazioni avvinghiate nei ranghi della Nato, gli USA dispongono di quanto occorre per continuare le guerre di interessata aggressione.

Un esempio lampante di questa nuova tattica lo abbiamo sotto gli occhi, in Siria. C’è forse qualcuno che ancora crede ad una ribellione di un popolo contro il suo dittatore? Che strano popolo. Viveva sotto una dittatura feroce e nascosti in cantina aveva armi da fuoco a volontà, cannoni anticarro, razzi terra-aria e  anticarro a bizzeffe. In  quattro e quattr’otto si è costituito in un esercito popolare che, a differenza di quello di Assad, non ammazza mai donne e ancor meno bambini, ma seleziona e poi colpisce solo gli odiati ed efferati sbirri del dittatore. Così almeno riferiscono i media occidentali, pubblicando a guisa di prova anche quantità di fotogrammi “non verificabili in quanto opera di fotografi amatoriali”.

Adesso  Inghilterra e Francia richiedono a gran voce il permesso di fornire armi ai ribelli: per mettere in moto la loro traballante, anzi inesistente crescita economica? Kerry, il nuovo segretario di Stato successore della simpatica e ilare Hillary Clinton, non teme il ridicolo: per dimostrare gli intenti pacifici e benevoli del suo paese ha  proposto di fornire ai ribelli solo armi  “non letali”. Fionde e tirasassi? Mi fermo qui. Se non fosse che c’è da piangere ci sarebbe da ridere.

Gianfranco Soldati