Mi scrive la signora Sussy Errera, archeologa e scrittrice che ha girato il mondo per approdare infine a Lugano:

Caro signor De Maria, lei mi domanda dei Mialoghi.  (…) Sino ad ora sono arrivata a pagina 158 del mio computer, ma non so quando e se metterò la parola fine. Forse il Gatto si concluderà automaticamente, il giorno che non sarò più in grado di dettare, non so se per stanchezza o per fine naturale. Fin’ora, però la voglia non mi manca e ogni tanto riverso in queste pagine le idee più o meno sensate che nascono nella mia testa.


Carla con Wh


Ho un gatto! L’ho molto desiderato, ma, sino ad ora almeno, un gatto sembrava rappresentare un problema insormontabile. Vivendo sola e non volendo rinunciare a viaggiare, cosa fare dell’animale? Non si può lasciarlo solo in appartamento, affidandolo a qualcuno, (ma a chi?) e non mi vedo frequentare un corso in qualche università spagnola accompagnata dal micio.

Il problema l’ha risolto Debbie, mia nuora, regalandomi un gatto compatibile con il mio problema. Si tratta di un magnifico soriano tigrato, di un caldo colore marrone, dagli occhi dolcissimi e uno sguardo vagamente ironico. Se ne sta sul mio letto, su un cuscino, il tutto tessuto a gobelin. Certo, se ne sta immobile, non fa le fusa, ma sempre gatto è. E mi fa compagnia.

Confesso che discorro con lui, e il suo sguardo un poco dubitativo sembra rispondermi a tono. Lo saluto al mattino (trascorre la notte sulla poltroncina accanto al letto), quando esco, e naturalmente rientrando. Lui è paziente, ascolta. Ancora non ha nome, per ora è solo “Gatto”. Ma non è mancanza di riguardo, la mia. “The naming of cats is a difficult matter” dice persino quell’eminente gattologo che è T.S. Eliott (cito a memoria). Il nome deve nascere spontaneo, come è avvenuto in passato con altri miei gatti (veri, questi), come Il Magnano (che era una gatta), o Brancaleone, i due che più di ogni altro felino hanno riempito la mia vita.

A volte mi chiedo se parlare col gatto non sia una forma di senilità, come tanti vecchi che incontro per strada che parlano da soli. Io almeno parlo col gatto, ma forse è soltanto una scusa per sentire qualcuno vicino. E sì che di vivere sola l’ho scelto io, e tuttora ne sono contenta. Quel minimo di solitudine, temperata dalla sollecitudine dei miei figlioli, dalle telefonate e incontri di amici, mi è molto gradita.

Sussy Errera