Poco tempo prima dell’avvento dell’Islam, un principe abissino di nome Abraha (dall’ebraico Abramo) mosse guerra alle tribù dello Yemen e le sottomise alla religione di Cristo. Egli edificò la sua residenza reale a Sana’a che fu eletta capitale del nuovo regno cristiano. Vi costruì anche una sontuosa cattedrale e diede ordine che questa dovesse essere la mèta del pellegrinaggio e non più la “pietra nera” custodita nel santuario meccano della Kaaba.

Non tutti però accettarono l’imposizione di Abraha e continuarono a rivolgere il loro pensiero e il loro pellegrinaggio verso l’antico tempio della Mecca. Qualcuno, addirittura, osò oltraggiare la nuova cattedrale e sfidare la terribile ira del re cristiano.

Un giorno giunse a Sana’a, in pellegrinaggio, un beduino, proveniente dalla città di Mecca, il quale domandò di restare a pregare nella chiesa anche di notte. I sacerdoti, lusingati da tanta devozione da parte di un meccano, acconsentirono alla richiesta. Questi, che in realtà era venuto con intenzioni empie, malefiche, rimasto solo, avvolto nell’oscurità del tempio, invece che raccogliersi in preghiera si diede a defecare ed insozzò di escrementi le pareti e gli ornamenti più sacri della cattedrale.

L’episodio suscitò grave scandalo e il furore incontenibile di Abraha il quale, convintosi che questa fosse la risposta dei meccani al suo appello di preghiera, mosse guerra contro la Mecca con l’intento di distruggere personalmente il santuario della “pietra nera”. Raccolse un esercito numeroso e agguerrito, con alla testa un elefante da combattimento che in altre battaglie aveva incusso il terrore fra le schiere nemiche. Al solo sentire dell’imminente arrivo di Abraha e del suo elefante sterminatore, l’esercito meccano si ritirò sulle colline, abbandonando la città e il santuario alla mercé degli invasori.

Stando alla sura del Corano detta, appunto, “dell’elefante”, il principe abissino marciò dritto sulla Kaaba per distruggerla, ma quando si trovò al suo cospetto si verificò il miracolo. Alla vista della “pietra sacra”, il pachiderma cadde per terra e non volle più saperne di rialzarsi. Gli abissini restarono attoniti e smarriti e fra loro si diffusero il panico e la confusione, molti volsero in ritirata.

Improvvisamente, il cielo si rabbuiò. Non erano nuvole cariche di pioggia, ma stormi, fittissimi, di uccelli neri che giungevano dal mare lontano in soccorso della sacra Kaaba. Ogni uccello stringeva fra gli artigli due piccole pietre acuminate che lasciava cadere sulle teste dei soldati invasori. Chi era colpito periva all’istante. Il re abissino morì prima di far ritorno a Sana’a, dilaniato da un morbo rarissimo che gli spappolò il corpo atrocemente.

Così la Kaaba e la città della Mecca furono salve per volere divino. Questo miracolo accadde nell’anno 570 d.C. In quello stesso anno, proprio alla Mecca, nacque Maometto, il profeta di Allah.

Agostino Spataro    “La notte dello sceicco-Reportage dallo Yemen”, Edizioni Associate, Roma, 1994