Dopo anni di emergenze la situazione nella zona euro sembra essersi relativamente stabilizzata. Ma la fine della crisi non arriverà prima di una sanguinosa resa dei conti.
Così scrive il Financial Times mercoledì 10 luglio, precisando che “gli eventi dell’ultima settimana offrono qualche segno di prudente ottimismo.”

“Quando la settimana scorsa in Portogallo è scoppiata la crisi politica con le dimissioni del ministro delle finanze- si legge nell’articolo – sono bastati sette giorni perché le autorità portoghesi riprendessero il controllo e portassero la calma nei mercati finanziari.
In Grecia i prestatori stanno trovando il modo di continuare a versare aiuti di emergenza ad Atene in cambio di riforme notoriamente incomplete.
Più in generale, l’ingresso della Croazia nell’Ue, l’annuncio dei colloqui per l’adesione della Serbia all’Ue e della Lettonia alla zona euro illustrano molto bene il fascino permanente che l’Unione europea continua ad avere.
Infine, gli ultimi indici di acquisto dei manager, che quantificano le prospettive future delle aziende private, sono stati i più ottimistici dal marzo 2012 a oggi. Nella seconda metà di quest’anno l’Europa dovrebbe riuscire a tirarsi fuori dalla recessione.

Questi segnali sono incoraggianti, ma non dimostrano concretamente che la crisi sta finendo, soltanto che sta entrando in una fase diversa.
I prossimi 12 mesi ci presenteranno sfide politiche, sociali e del mercato finanziario che ancora una volta metteranno alla prova le capacità dell’Europa di gestire la crisi.

Prima di tutto, qualsiasi ripresa avverrà in circostanze molto frammentarie dal punto di vista del credito.
Le aziende italiane, portoghesi e spagnole, che mancano di finanziamenti accessibili, sono in svantaggio permanente rispetto alle concorrenti in Austria e in Germania.
Il concetto di dare soldi ai colpevoli per combattere la crisi in cambio di lacrime e sangue, autocritiche e la promessa di varare riforme virtuose rimarrà in buona parte inalterata.
L’ideale di unità sarà messo duramente sotto pressione nel corso delle elezioni del Parlamento europeo del prossimo maggio, che apriranno la successione a José Manuel Barroso alla presidenza della Commissione europea e a Herman Van Rompuy a quella del Consiglio europeo, il club dei leader nazionali.
Nell’immediato futuro ci sarà un clima politico glaciale per chi è favorevole ad ambiziose iniziative di integrazione, come la condivisione del debito o l’unione bancaria, compresa l’assicurazione comune sui depositi.
Questi punti sono venuti a galla il mese scorso in una dichiarazione del governo olandese che dichiarava chiusa l’epoca “di una maggiore unione” in ogni settore politico.
La fragilità dell’intento comune affiora anche dalle parole con le quali nelle scorse settimane il governo francese e Barroso si sono aggrediti a vicenda.

Ma ci sono altri segnali premonitori nell’aria. Sarà indispensabile un forte spirito di impegno e di dedizione collettiva. Si prendano in considerazione i piani triennali di aiuti all’Irlanda e al Portogallo, che si concluderanno rispettivamente questo dicembre e nel giugno 2014: i leader europei avevano sperato di interromperli in tempo, dimostrando così un’impeccabile gestione della crisi.
Ma la battaglia ingaggiata dall’Irlanda per uscire dalla recessione dimostra che un facile ritorno ai mercati privati del capitale non è garantito.

In Portogallo, la crisi di governo ha messo in luce i limiti della tolleranza del mondo politico e dell’opinione pubblica nei confronti dell’austerity.
Uscire dal bailout è improbabile senza ulteriori aiuti : l’indebitamento pubblico supera il 130% del prodotto interno lordo, manca una crescita economica significativa e un quinto dei lavoratori è disoccupato.

La Grecia non potrà evitare un’altra ristrutturazione del debito. A partire dal primo bailout concesso nel maggio 2010, le condizioni politiche nelle nazioni creditrici si sono fatte più ostili nei confronti degli aiuti alle nazioni debitrici.
La pazienza delle nazioni debitrici nei confronti dell’austerity è proprio agli sgoccioli. Il sipario finale della crisi della zona euro si alzerà su questo scontro velenoso.”