Il prof. Marco Martucci, docente preparatissimo e di lunga esperienza, ha scritto su queste colonne che «molti aspetti della scuola media necessitano di un profondo e serio ripensamento» (CdT del 3 luglio). È un parere che vale oro, senza dubbio di gran lunga più autorevole di quello dei politici e teorici dell’insegnamento che fingono di dire la stessa cosa, salvo poi pentirsene il giorno stesso e ossequiare pedissequamente i dettami cristallizzati di una pedagogia assurda, ormai lontana da quanto sarebbe necessario per porre un argine alle derive della società di oggi e agli sconquassi prevedibili nei prossimi tempi. «La scuola non è un giocattolo», riassume Martucci lapidariamente. Questo significa in primo luogo che i suoi fini non possono prescindere da una solida cultura e scienza, inoltre devono conformarsi alle aspettative serie dei suoi utenti. Ciò che va bene per i bambini della prima scolarizzazione è totalmente fuori posto per i ragazzi di scuola media, analogamente si può affermare che i corsi di livello universitario sono terribili forzature nell’adolescenza. È il principio di gradualità, di cui si è fatto strame negli ultimi decenni: infatti l’impressione esterna è che una tale consapevolezza sia venuta a mancare molto più gravemente anche solo di una ventina di anni fa, quando talune avvisaglie erano già avvertibili.

Ogni docente a modo suo

Il peggioramento è netto: disparità fra sede e sede, fra classe e classe, perché con l’eterogeneità di interpretazione dei programmi e degli obiettivi, ciascun docente è praticamente certo di poter fare a modo suo, se appena evita di urtare le ben note suscettibilità di chi non accetta osservazioni e critiche. I metodi sono un secondo requisito essenziale del sistema scolastico. Normalmente si caratterizzano per il concetto di ordine, non inteso come un comando calato dall’alto, ma come una disposizione degli elementi rilevabile nella natura delle cose. Se questo principio viene rifiutato la scuola soffre, e con essa ne soffre l’intera società. Ciò avviene per esempio quando non si capisce che l’esperienza degli adulti (e più ancora quella degli anziani) deve essere trasmessa alle successive generazioni. È una follia pretendere che i giovani sappiano scoprire da soli in perfetta autonomia la loro strada: sarebbe come tornare all’età della pietra. Ma soprattutto è un attentato all’ordine delle cose l’adozione di programmi che non vadano dal semplice al complesso, dal conosciuto all’ignoto, dal generale al particolare. Esemplificando: il dare agli allievi materiale didattico che essi debbano interpretare da soli, senza introduzioni o intermediazioni del docente.

Una scuola stanca

Il sito scolastico del Cantone (scuoladecs, «portale ticinese della didattica») trabocca di codesti materiali, qua e là ben degni di figurare in un museo degli orrori. È con simili prodotti che si vuol promuovere l’autostima e la voglia di crescere soprat tutto delle classi deboli? Così si alleva soltanto una gioventù acefala, senza testa, senza ambizioni, e quindi una società di presunti uguali, che si accorgeranno ben presto che la vita esige ben altra preparazione. Molti indizi rivelano che la scuola al suo interno è stanca, direi esausta di metodi chiaramente scadenti. Ma li subisce, ne è completamente in balia, e per questo arrischia di essere condannata a una totale inefficacia. Il rimedio non risiede nemmeno più nell’esprimere malcontento e farlo emergere per essere ascoltati, perché al massimo la politica tenterebbe di blandire l’incauto con vuote promesse.

Verifiche senza profitto

E così l’intelligenza tende a zero, sostituita dalle impressioni, al posto di trasmettere il sapere la scuola si accontenta di un coacervo di ideuzze raccattate e vuote di significato, che scivolano come acqua sul marmo, come le molte aride nozioni delle « verifiche» scolastiche, senza stimolo né profitto per l’esercizio della mente (un calcio al raziocinio insomma, ma della ragione chi se ne cura ormai?). Improduttivi e asettici schemi la fanno da padrone, con tabelle, diagrammi e quant’altro suggerito o imposto dalla nostra epoca tecnocratica e nemica del pensiero. Dietro l’angolo, l’attesa spasmodica di taluni di veder conquistate le nostre scuole dai previsti marchingegni informatici e miriadi di videate multicolori che annebbieranno ancor più le sempre meno capienti teste di ragazzi e fanciulle.

Franco Cavallero, Lugano

(sottotitoli della Red)