Il 22 settembre si voterà sull’iniziativa che propugna l’abolizione dell’obbligo di servire. Si tratta, al di là di sempre possibili sottili distinguo, dell’ennesimo attacco all’Esercito svizzero portato dalla sinistra. Ticinolive, che non è affatto neutrale sulla questione, ritiene che la via migliore da seguire sia quella di dare  liberamente la parola (tramite articoli o interviste) ai contendenti di ambo i campi. I nostri lettori giudicheranno.

Si si sono sinora espressi in favore dell’Esercito il dottor Pio Eugenio Fontana, il dottor Gianfranco Soldati e l’on. Michele Bertini (PLR). Contro, il segretario dei Comunisti ticinesi Massimiliano Ay e il socialista Sergio Roic. Ha oggi la parola il comunista Giorgio Bomio.


Nel 1993, ho svolto la scuola reclute ad Airolo. Il servizio civile avrebbe fatto capolino solamente tre anni dopo. Nel 1994, 1995 e 1999 ho seguito tre corsi d ripetizione. Infine, nel 2005 (dopo essere riuscito, un paio di volte, a schivare ulteriori CR), non sopportando più la vita militare, ho tramutato gli ultimi giorni dal tetro grigioverde, al multicolore dell’aiuto agli anziani, svolgendo quasi quattro mesi di servizio civile presso una casa per anziani ciechi.

Pentendomi amaramente di non avere ricorso a tale opzione molti anni prima. Se non altro, posso dire di avere fatto le mie esperienze, e quindi non posso essere tacciato di dare opinioni senza avere nessuna idea di cosa significhi la “vita militare”. Non è tuttavia mia intenzione tediarvi con racconti da caserma, i quali sono tuttalpiù ideali durante i ritrovi con gli ex commilitoni, o bevendo una birra fresca con gli amici. Men che meno vorrei arrogarmi il diritto di cambiare opinioni diverse dalle mie. Semplicemente, mi piacerebbe mostrarvi un modo diverso di vedere l’esercito, dopo che altri lo hanno difeso a spada tratta.

Ciò che viene attribuito all’esercito è il seguente: il giovane ha la possibilità di conoscere e socializzare con altri coetanei; di fare una possibile prima esperienza al di fuori del conosciuto e comodo focolare casalingo, magari parlando un’altra lingua (quindi approfondendone le conoscenze); di imparare la disciplina, l’ordine e a seguire gli ordini impartiti da persone più esperte; di affrontare i sentimenti negativi, come frustrazione o delusione. Il tutto sintetizzabile nelle due parole che, più comunemente, vengono utilizzate dai difensori dell’esercito: diventare uomini.

Mi viene sempre da sorridere, quando sento le summenzionate due parole. Dipende tutto da cosa si intende per “diventare uomini”. Se per uomini intendiamo una sorta di robot, capaci solo di agire su comando, senza minimamente pensare in modo autonomo e indipendente, allora sicuramente l’esercito esplica in modo esemplare il suo compito. Se, al contrario, “diventare uomini” significa imparare ad utilizzare le proprie capacità intellettive, informandosi in modo autonomo per poter poi prendere le decisioni indipendentemente; ebbene, allora l’esercito è decisamente distante dagli obiettivi a cui miriamo.

Sono fermamente convinto che le basi caratteriali debbano essere fornite dal nucleo famigliare. Penso, soprattutto, al rispetto dei nostri simili e degli oggetti altrui. La scuola, il lavoro e lo sport sono ambiti in cui, oltre alla famiglia, il ragazzo può cogliere l’occasione di formare il proprio carattere. Ciò di cui abbisogna la società, sono persone in grado di ragionare con la propria testa, in antitesi, quindi, con gli insegnamenti militari. Chi prosegue gli studi, oltre la scuola dell’obbligo, può frequentare università in altri cantoni, staccandosi, quindi, dalla famiglia, e avendo l’opportunità di studiare in un’altra lingua. Alcune professioni danno la possibilità di svolgere dei periodi fuori Ticino; inoltre, dovendo lavorare in gruppo, e a contatto con colleghi magari scorbutici o più semplicemente antipatici, si acquisisce, giocoforza, la necessaria tolleranza; in più, si deve sottostare ad un capo.

Praticare in modo attivo uno sport di squadra, può essere un’immensa fonte di insegnamento per un ragazzo. Imparare lo spirito di squadra; seguire le direttive di un allenatore; tollerare compagni dalle idee e dai comportamenti diversi; gestire delusioni e frustrazioni derivate dalle sconfitte. Certo, nelle caserme non viene fucilato nessuno. Ma viene insegnato a farlo. Viene insegnato l’odio, in quanto un esercito senza nemico non avrebbe nessun motivo di esistere.

Un gruppo di soldatini, tutti vestiti uguali, tutti pronti a scattare sull’attenti a comando, tutti pronti ad ubbidire ciecamente agli ordini impartiti… sono davvero “veri uomini”? Lasciatemi il permesso non solo di dubitarne, ma di essere in disaccordo.

Giorgio Bomio, membro del Comitato Cantonale del Partito Comunista,
responsabile del Dipartimento politica comunale
Consigliere comunale a Tenero-Contra

BOMIO Giorgio