Ora il tema dell’intervista, allontanandosi da Locarno, si avvicina… alle regioni dell’intervistatore. È la volta di Montagnola e della Collina d’Oro, di Hermann Hesse, gigante della letteratura che a lungo visse nel Ticino.

Un’intervista di Francesco De Maria.


Francesco De Maria   Veniamo ora a Montagnola, alla Collina d’Oro. Lì visse per più di 40 anni, e sino alla morte, un grande scrittore. Che cosa rappresenta Hermann Hesse per lei?

Jean Olaniszyn   Hermann Hesse l’ho letto da ragazzo, a quindici anni avevo letto praticamente tutti i suoi libri compreso l’ostico, ma straordinario “Il Giuoco delle perle di vetro”. In quei tempi le mie letture si concentravano sui libri della biblioteca di casa grazie all’interesse per la lettura di mia madre, con gli autori ticinesi, francesi e russi a farla da padrona, ma anche tedeschi, fra i quali appunto Hermann Hesse. Devo però sottolineare che da giovane mi sono soprattutto appassionato agli scritti di John Steinbeck, Henry Miller, Blaise Cendras, la storia dei pittori, in particolare Picasso e Gaugin, libri che trovavo nella biblioteca di un mio zio scultore che è stato per me un mentore e dal quale ho ereditato la mia passione per la pittura che ho iniziato a praticare da dilettante, con un atelier proprio, per poi affinarla con gli studi a Parigi dove però ad un certo momento ho anche cambiato completamente direzione di ricerca dopo aver conosciuto i due miei “maestri”: Jacques Bergier e Jean Charon.

Comunque, appena tornato in Svizzera creai un Centro culturale nella Casa del Negromante di Locarno, proprio di fronte alla sede dell’Archivio Storico Ticinese di Virgilio Gilardoni, frequentato da molti artisti della regione, interessandomi in modo particolare alla storia dei personaggi illustri che avevano scelto il Ticino come loro patria elettiva, fra i quali spiccava per il suo pensiero profetico, Hermann Hesse.

Rilessi i suoi libri, in particolare suscitarono nuovamente il mio interesse “Demian”, “Il lupo della steppa” e “Il Giuoco delle perle di vetro”, vero testamento spirituale di Hesse, dove profetizzò, molti anni prima dell’attualità d’oggi, la necessaria cooperazione di tutte le arti e di tutte le scienze e dove la non separazione tra intuizione e razionalità ritesserà quella invisibile, ma costitutiva rete, che ci fa esseri umani inseparabili dal cosmo e dal divino.

Ecco cosa rappresenta Hermann Hesse per me: un “luogo” fecondo per la ricerca dell’unità dell’uomo con l’universo.

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Quali vicende l’hanno portata a contatto con questo famoso autore, con la sua opera, con la sua famiglia?

JO   Come ho già detto, fin da giovane ho letto quasi tutti i libri di Hermann Hesse e mi sono interessato alla sua attività di scrittore-pittore.

Nel locarnese ho portato piccole ma significative mostre di Picasso, Salvador Dalì, Andy Warhol, Giorgio De Chirico, Alberto Giacometti, Amedeo Modigliani, ma anche tutta una serie di scrittori-pittori, fra i quali Goethe, Victor Hugo, Jean Cocteau, Friedrich Dürrenmatt, Hermann Hesse e altri. Grazie a questa attività, negli anni Ottanta sono entrato in contatto con l’operatore culturale di Ascona Ambrogio Pellegrini che curava a quel tempo certi interessi di Heiner Hesse, secondogenito di Hermann Hesse, che abitava ad Arcegno, tra l’altro non molto lontano da casa mia. Iniziai quindi una collaborazione, prima contribuendo alle mostre di Hermann Hesse in Giappone e in Italia, e successivamente, con alcuni membri della mia famiglia, acquisendo acquerelli e disegni di Hesse per finanziare le attività di Heiner.

Nello stesso periodo nacque anche il progetto del libro Il Palazzo di Klingsor curato dal sottoscritto, con testi di A. Mario Redaelli, Giuseppe Curonici, Heiner Hesse, Jean Olaniszyn, Cesare De Seta, Michel Tournier, Volker Michels, Amleto Pedroli, Christian Immo Schneider, e con scritti, disegni e acquerelli di Hermann Hesse. Per questo progetto invitai gli scrittori interpellati e altri ad un convegno al Monte Verità.

Lei ha fondato il Museo Hermann Hesse. Com’è riuscito in questa impresa?

JO   Innanzitutto la volontà e la caparbietà nel credere nel mio progetto, ma anche la capacità di cogliere immediatamente le varie opportunità. Nel 1990 conobbi Rosetta Camuzzi, proprietaria del famoso Palazzo Camuzzi di Montagnola, alla quale sottoposi un progetto per creare un progetto culturale che comprendeva un museo dedicato a Hermann Hesse da ubicarsi nei locali da lui occupati nel Palazzo dal 1919 al 1931 e un Archivio della famiglia Camuzzi. Purtroppo Rosetta Camuzzi decedeva l’anno successivo e quindi il mio primo progetto per un museo Hesse a Montagnola non andò in porto perché la massa ereditaria mise in vendita lo storico Palazzo, venduto in proprietà per piani a privati. Solo l’adiacente Torre Camuzzi restò in mani di un membro della famiglia, ossia Mary Rose, ultima discendente diretta dei Camuzzi. Heiner Hesse cercò di “salvare” il Palazzo Camuzzi, non vi riuscì perché coadiuvato da incompetenti. Purtroppo il sottoscritto, messo troppo tardi al corrente di certe condizioni di vendita della proprietà, non poté intervenire, altrimenti, con la copertura della mia famiglia, avrei potuto acquisire il Palazzo Camuzzi. Una possibilità unica, mancata per poco, che mi  rattrista ancora oggi, soprattutto se ripenso alle vicissitudini che ho vissuto dopo la fondazione del Museo Hesse nell’adiacente Torre Camuzzi.

Comunque dopo aver affittato la Torre Camuzzi nell’aprile del 1997, il successivo mese di maggio su consiglio di “autorevoli” personaggi che mi avevano garantito dei sussidi pubblici e privati creai l’Associazione amici del Museo Hermann Hesse di Montagnola. Purtroppo le aspettative sono state disilluse, le promesse non mantenute e tutto il peso finanziario dell’operazione è stato sostenuto dal sottoscritto. A fronte di un costo di fr.730.000.- (dati ufficiali depositati) per la fondazione del museo, sostenuto dal sottoscritto con miei famigliari e conoscenti, ho ricevuto unicamente un contributo di Fr.70.000.- da parte del Canton Ticino. E sia ben chiaro a tutti che la famiglia Hesse, il Comune di Montagnola, o altri enti, non hanno messo un centesimo per la fondazione del Museo Hermann Hesse di Montagnola,  “gioiellino della Collina d’Oro” come lo ha definito l’allora sindaco di Gentilino Spartaco Arigoni.

A 35 anni dalla morte di Hermann Hesse, nessuno, a parte il sottoscritto, è stato capace di ideare e fondare in Ticino un museo dedicato al premio Nobel per la letteratura (del 1946). All’epoca quasi tutti mi davano del pazzo. Oggi è il museo internazionalmente più conosciuto e visitato del Cantone Ticino. A dire il vero è stato immediatamente il più visitato: nel primo anno di attività sono arrivati a Montagnola quasi 30.000 visitatori (record mai più raggiunto), creando da subito un indotto economico per la regione importante.

E già dal primo anno di attività il museo Hesse, grazie al lavoro di promozione del sottoscritto, è stato ufficialmente inserito dall’European Museum Forum, con il patrocinio del Consiglio d’Europa, nelle candidature per il Premio Museo dell’anno 1999. Grazie ai miei contatti e alle mie conoscenze ho potuto portare a Montagnola molti esponenti della cultura mondiale, in particolare quella russa, si citano: Natalia Shachalova, direttrice del Museo di letteratura di Mosca e responsabile di tutti i musei letterari russi; il poeta Evgheni Evtuschenko, per la prima volta in Svizzera con la partecipazione di PoestateLugano; Tair Salakov, artista pittore, vicepresidente dell’Accademia di Belle Arti di Russia (già presidente dell’Accademia di Belle Arti dell’URSS).

Qual è la condizione attuale del Museo, considerando il complesso delle sue attività culturali? È fiorente?

JO   Nel 2000 il Museo è stato ceduto dall’Associazione Amici Museo Hermann Hesse di Montagnola all’attuale Fondazione e l’Archivio è stato portato al Rivellino LDV di Locarno. Il museo Hermann Hesse continua nel trend positivo iniziale della mia gestione e con circa ventimila visitatori all’anno risulta sempre il museo più visitato del Cantone Ticino.

L’attuale direttrice Regina Bucher, che avevo assunto nel 1997 e dal mese di ottobre 1998 è subentrata a Karin Adrian von Roques, prima direttrice del Museo Hesse, continua principalmente nelle attività proposte inizialmente, ossia gli incontri letterari ideati dal sottoscritto con il prof. Giuseppe Curonici, le “Letture al museo” e “Gli incontri con lo scrittore”, la  presentazione di mostre tematiche, e l’organizzazione di esposizioni degli acquerelli di Hesse. Trovo per contro che mancano quei personaggi della cultura internazionale, come quelli che ha portato a Montagnola il sottoscritto.

Ma forse in questo caso è una semplice questione di budget. Il sottoscritto poteva invitare a Montagnola personaggi importanti grazie a contatti personali e quindi i costi erano limitati. In sostanza posso dire che il Museo che ho ideato e fondato è tuttora fiorente e sono orgoglioso di quanto ho creato.

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Ci parli della casa Camuzzi, dove Hesse visse dal 1919 al 1931, così esotica, bizzarra e inquietante. Come si potrebbe descriverla?

JO   Si può definire la Casa Camuzzi una costruzione dall’architettura eclettica.

La vicenda della famiglia Camuzzi inizia, come storicamente documentato, il 20 aprile del 1624 quando con atto notarile avvenne la permuta fra i beni di Ottavio Camuzzi e quelli di Sebastiano Gorini entrambi di Lugano. Dopo varie successioni famigliari e nuove acquisizioni si giunge finalmente ad Agostino Camuzzi (1808-1870), l’architetto attivo a San Pietroburgo dal 1828 al 1854 che al suo rientro dalla Russia diede alla casa di Montagnola l’aspetto che ancora oggi conserva. Non una nuova costruzione bensì una rivisitazione, alla luce delle esperienze pietroburghesi, di una preesistenza e una ricucitura dei vari segmenti che la compongono che coniugano in modo inusuale rococò e neogotico.

Il palazzo è su tre piani, l’ingresso principale al giardino è collocato nel nucleo di nuova progettazione che assume funzione di vestibolo collegando i due esterni, quello sulla strada, quello sul giardino e le due ali del palazzo.  Nel lato dove abitava Hesse la casa ha un terrazzo dal parapetto neogotico proteso sul Lago di Lugano e dall’altra dei balconi aperti sul giardino tanto amato e ben descritto da Hermann Hesse dal balcone di Klingsor: “Sotto di lui scendeva profondo e vertiginoso il vecchio giardino a terrazze, groviglio tutto ombroso di fitte cime di alberi, palmi, cedri, castagni, alberi di Giuda, faggi sanguigni, eucalipti attraversati da rampicanti, liane, glicini”.

C’è una bizzarria dunque in questa costruzione che ritengo le conferisce un carattere gioioso e un po’ scapigliato che Hesse aveva perfettamente inteso: “ Alcune dozzine di volte ho dipinto e disegnato questa casa e ho seguito le sue intricate e capricciose forme. Ho disegnato ogni tipo di vista dal suo balcone, dalle sue finestre, altre ancora dai bei pittoreschi angoli e dai muri del suo giardino. Il mio palazzo, costruito in uno stile da casino di caccia barocco, essendo nato per il capriccio di un architetto ticinese, fu concepito con uno stile architettonico esuberante e scherzoso. Esso supera in maniera ingegnosa i grandi ostacoli opposti dal terreno e offre una quantità di prospettive completamente divergenti…. Con le sue facciate sfalsate e le torrette spicca dalla silenziosa foresta di alberi, assomigliando così ad un castello di campagna venuto fuori da un racconto di Eichendorff”.

Non bisogna altresì dimenticare che la Casa Camuzzi ha anche una compostezza tutta borghese come è di un architetto committente che si sente parte di un ceto benestante e che intende esprimere nel proprio palazzo questo suo status economico e sociale. L’anno prossimo pubblicherò il libro Agostino Camuzzi. Architetto imprenditore a San Pietroburgo, a cura di A. Mario Redaelli, Pia Todorovic Redaelli, Ekaterina Anisimova, edizioni ELR, che racconterà in dettaglio  anche la storia della Casa Camuzzi.

Il Ticino conosce a sufficienza questo grande? Se la risposta è no, come si potrebbe rimediare?

JO   A dire il vero fino alla creazione del museo di Montagnola non si parlava molto di Hermann Hesse, i media non se ne occupavano particolarmente e molti ticinesi non sapevano nemmeno che uno scrittore Premio Nobel, che scrisse libri fra i più venduti al mondo (oltre 100 milioni di copie) visse e mori a Montagnola. Con la nascita del museo di Montagnola e, bisogna pur dirlo, con le susseguenti diatribe pubblicizzate a grandi titoli dai  media, di Hermann Hesse se ne parla molto in Ticino. Personalmente ritengo che l’attuale Fondazione che gestisce il museo farebbe un grande regalo al Ticino, e non solo, se mi coinvolgesse per organizzare qualche progetto di valenza internazionale che ho ancora in serbo nel cassetto.

Quale romanzo di Hesse predilige?

JO   Ho letto non solo pressoché tutti i suoi libri, ma anche molti suoi scritti pubblicati all’epoca su giornali e riviste, conservati nell’Archivio del fondatore del Museo Hermann Hesse che dirigo, depositato al Centro culturale Il Rivellino LDV di Locarno, comprendente circa tremila volumi non solo di Hesse ma anche del suo “entourage”, oltre a documenti e oggetti vari appartenuti al Premio Nobel.

Ho anche redatto diversi testi su Hermann Hesse, in particolar modo sull’opera pittorica, pubblicati su libri e cataloghi. Tra l’altro, dal 1997 al 2002, sono stato curatore ufficiale dell’opera pittorica di Hermann Hesse e quindi conosco a fondo questa sua attività – tra l’altro fino alla mia promozione a livello internazionale, poco conosciuta anche fra i suoi stessi estimatori – e ho curato delle importanti mostre a Lipsia, New York e Atlanta, oltre ad aver pianificato dei progetti espositivi per l’Ermitage di San Pietroburgo  e per l’Archivio di letteratura di Mosca.

Il libro che prediligo di Hermann Hesse è sicuramente il “Giuoco delle perle di vetro”.

Jean + Lund +Da sinistra: Jean Olaniszyn, Marco Borradori, Arminio Sciolli, due belle signore, Giorgio Lundmark (vernissage della mostra Kerouac, 6 agosto 2013)