Abolizione dell’obbligo di servire: il dibattito continua (e il 22 settembre si avvicina). Oggi è nuovamente di scena un alto ufficiale, il colonnello Marco Netzer. Egli argomenta lucidamente e abilmente, e la sua tesi di fondo – che coincide con quella del col. Annovazzi, del giudice Walser e di altri autorevoli oppositori dell’iniziativa – è la seguente: accettarla equivale in sostanza ad accettare l’abolizione dell’Esercito.

 Un’intervista del professor Francesco De Maria.


Francesco De Maria   Il Governo federale sostiene unanimemente il rigetto dell’iniziativa?

Marco Netzer   Il Consiglio Federale si esprime collegialmente e ha detto di no. Il parere del parlamento e dei partiti è di dominio pubblico, con una chiara maggioranza contraria.

La Redazione (sicuramente non solo noi!) ha ricevuto il giorno 4 settembre una mail dall’Amministrazione federale che diceva testualmente:

“Questa informazione vi è stata fornita da www.news.admin.ch.

Riesaminare l’obbligo di servire   Berna, 04.09.2013 – Due anni dopo la pubblicazione del suo rapporto Le Contrat citoyen, la Commissione federale per l’infanzia e la gioventù (CFIG) fa il punto sulle proposte che aveva formulato. Visto il peggioramento della situazione, essa ritiene che sia giunto il momento di riesaminare l’obbligo di servire per tenere veramente conto dei nuovi bisogni in materia di sicurezza, integrazione e coesione sociale. Molti giovani vogliono investirsi per il loro Paese e la collettività. È però necessario che questo impegno abbia un senso e possa essere conciliato con la loro formazione, le esigenze sempre maggiori del mondo del lavoro ed eventuali responsabilità parentali.

Commissioni del DFI”

Come interpreta questo comunicato?

MN   Conosciamo l’opinione del presidente della commissione, e pur nel rispetto di tutti i diritti democratici, faccio un po’ di fatica a credere che la pubblicazione del rapporto, uscito il 4 settembre a meno di 20 giorni dalla votazione, sia puramente casuale. Inoltre bisognerebbe capire cosa intende con “peggioramento” della situazione.

Nel 2012 il 62% è stato dichiarato abile al servizio durante il reclutamento secondo il nuovo modello di reclutamento introdotto nel 2003. Nel 2011 la percentuale era del 65%, ma nel 2004 o nel 2005 la stessa si attestava al 62%, rispettivamente al 61%. È ovvio che questi dati sottostanno ad una certa volatilità, ma nella mediana dal 2003  risultano essere stabili. Inoltre, riferendosi agli ultimi 6 anni, la percentuale di militi che ha infine assolto le scuole reclute, è aumentata!

Sono stato a una conferenza stampa degli iniziativisti, c’erano non meno di 7 relatori! (ma ben pochi giornalisti). Uno dei loro argomenti principali è il seguente: l’esercito si batte  accanitamente per mantenere l’obbligo generale di servire ma – nella pratica – lo annacqua sempre di più (poiché gli servono sempre meno soldati). In concreto, secondo la loro tesi: un giovane che si mostri “poco entusiasta” o, addirittura, “restío” viene facilmente lasciato a casa con l’ausilio di un certificato medico compiacente, di natura fisica o psichica.

MN   È chiaro che servono sempre meno soldati: siamo passati – ed era senza dubbio necessario visto l’evolversi della situazione internazionale e del quadro della politica di sicurezza – da un esercito di 600’000 soldati a un effettivo a tendere di 100’000 militi attraverso le diverse e opportune riforme degli ultimi anni. A dimostrazione che tramite il modello di milizia, si possano continuamente e flessibilmente adeguare gli effettivi a seconda delle necessità e delle missioni che il Parlamento o le cittadine e i cittadini gli affidano, senza intaccare il funzionamento e il modello dell’esercito di milizia stesso. Ma gli iniziativisti incorrono in un grave quanto banale errore quanto associano la diminuita necessità di effettivi con l’0bbligo di servire.

Bisogna infatti ricordare che la gestione del numero degli effettivi avviene attraverso 3 assi: il primo dipende dalle missioni e dai compiti affidati, aspetto in continua evoluzione e adattamento; il secondo (passivo) dipende dalla crescita della popolazione svizzera e dai cicli della natalità; il terzo viene “pilotato” attraverso il numero di giorni di servizio da prestare e soprattutto dall’età del licenziamento dal servizio. Un aumento o una diminuzione del numero degli effettivi formati, e quindi incorporati,  è infatti direttamente influenzabile attraverso l’innalzamento – o come negli ultimi 20 anni -, abbassando l’età alla quale il milite viene congedato dai corpi di truppa.

In un paese democratico come lo è la Svizzera, dove ci saranno e ci sono sempre stati giovani poco entusiasti o restii (in quanto il principio di solidarietà non si riflette giocoforza nell’unanimità), un giovane viene innanzitutto chiamato ad assolvere la scuola reclute (o viene incorporato nella protezione civile se ritenuto parzialmente idoneo), se dichiarato abile al servizio durante il reclutamento. La preservazione della sua incolumità fisica e psichica è un suo diritto, che va non solo rispettato ma addirittura garantito, anche in considerazione dei rischi al quale lo si esporrebbe, e dei costi che l’assicurazione militare sarebbe chiamata a sopportare.

In alternativa, chi non vuole “imbracciare il fucile”, può sempre optare per il servizio civile. C’è sempre stato e ci sarà sempre chi riesce a “farla franca”, ma non solo nell’ambito del servizio militare. Ma far passare il corpo dei medici svizzeri come una cerchia di professionisti “compiacenti”, poco seri e non professionali, mi sembra un insulto a tutto il corpo medico. Non dimentichiamoci, che anche al reclutamento sono medici civili che si incaricano di fare le necessarie verifiche. Io sarei più prudente a fare questo tipo di esternazioni, mettendo indubbio la deontologia di questa classe di professionisti.

Un punto incontrovertibile è la marcata e rapida contrazione dell’effettivo globale dell’esercito svizzero.
A) Com’è stata vissuta, generalmente, dal corpo degli ufficiali?

B) Lei personalmente l’ha vista:
come un’evoluzione positiva;
– come un’evoluzione negativa ma obbligata;
– come un vero e proprio errore?

MN   A) Come precisato sopra, la “rapida contrazione” è principalmente avvenuta attraverso l’abbassamento dell’età di “pensionamento” dei militi, quale conseguenza del mutato contesto nell’ambito della politica di sicurezza, e dei necessari adeguamenti conseguentemente  voluti dal legislatore. Attraverso le diverse riforme e i nuovi modelli di reclutamento, si è data inoltre più attenzione rispetto al passato, agli esami e all’idoneità del giovane sia dal punto di vista fisico, sia psichico. Inoltre, dal 2011, è pure stato introdotto il “test di sicurezza”, per evitare di formare ed incorporare giovani tendenzialmente “pericolosi”.

Il fatto incontestabile è che oggi l’esercito dispone del numero necessario di militi per assolvere i propri attuali compiti (con o senza “compiacente” certificato medico), e che la gestione degli effettivi è relativamente semplice attraverso un’aggiornata pianificazione degli stessi. Con un esercito di professionisti questa flessibilità verrebbe a mancare. Questa “contrazione” non mi ha quindi minimamente toccato: anzi mi ha confermato che nel nostro paese questo modello funziona, che l’esercito è dei cittadini i quali decidono direttamente attraverso il loro voto o il parlamento, che modello darsi e quanto investire nel nostro paese per la sua sicurezza.

B) La riduzione degli effettivi non è quindi un errore, ma corrisponde a un ragionato e necessario adeguamento delle missioni e delle risorse necessarie per garantire l’assolvimento delle stesse.

Mi illustri una situazione realistica e plausibile nella quale l’esercito svizzero possa trovarsi impegnato in un vero e proprio combattimento a fuoco, nel quadro della situazione geopolitica attuale. Le pongo questa domanda poiché uno degli argomenti “di punta” degli iniziativisti è il seguente: eventi del genere appartengono al passato e non accadranno mai più!

MN   Gli scenari a livello minaccia sono profondamente mutati negli ultimi decenni; nuove fonti di minacce sono comparse, e l’universo nell’ambito della politica di sicurezza è in continua evoluzione. Nel futuro assetto dell’esercito si prevede infatti una mantenuta, anche se ulteriormente ridotta (in armi e militi), competenza di difesa, necessaria per far fronte ad un eventuale (quanto non auspicato) peggioramento della situazione a livello di minaccia, anche in funzione del fatto che un aumento di questa competenza di difesa, e delle relative risorse, richiede al minimo circa 10 anni.

A questa competenza, alla quale si somma la protezione civile e la sorveglianza (civile) dello spazio aereo, bisogna aggiungere le missioni e i compiti di assistenza in favore della popolazione e delle autorità civili, l’intervento in casi di catastrofi e di picchetto.

La formazione di base di questi corpi di truppa, permette inoltre agli stessi (e questo è un aspetto importante del nostro modello), di svolgere e di essere a disposizione per compiti di sicurezza, di vigilanza, di protezione degli impianti civili, di rafforzamento dell’impianto di sicurezza assunto dai corpi professionali delle polizie cantonali e delle guardie di confine, assistendo  gli stessi per periodi prolungati o nell’occasione dell’organizzazione di manifestazioni o congressi di carattere nazionale e internazionale.

In relazione alle nuove fonti di minaccia, quali per esempio il terrorismo, gli attacchi cibernetici o a sistemi vitali del paese, l’esercito ha già avviato da tempo l’affinamento del proprio dispositivo, grazie anche alla formazione e all’ incorporazione di specialisti civili, appunto perché di milizia!

Gli eventi, intenzionalmente fuorvianti, citati degli iniziativisti, nascondono però il fatto, che quotidianamente a 3 o 5 ore di volo della Svizzera, assistiamo a focolai bellici, anche di importanti dimensioni. Sarebbe bello se così non fosse!

Con quali caratteristiche fisiche e (soprattutto) psichiche lei si immagina un soldato di 25 anni, professionista volontario? Una compagnia tutta composta di tali soldati potrebbe essere una buona compagnia? Ci sono delle controindicazioni?

MN   Intanto mi è difficile immaginare le caratteristiche fisiche o psichiche di un soldato professionista volontario, o unicamente volontario come lo vogliono e lo propongono gli iniziativisti. Ma andiamo con ordine.

In un paese come il nostro con un alto tasso di occupazione, l’abolizione dell’obbligo di servire comporterebbe immediatamente un crollo del numero di giovani che assolverebbero la scuola reclute. Dagli attuali più di 20’000 che annualmente assolvono la scuola reclute, senza contare i militi incorporati nella protezione civile (e che pure loro verrebbero “incorporati” su base volontaria), è concretamente ipotizzabile attraverso esperienze fatte in altri paesi, che annualmente saranno circa tra 500 e 1500 i giovani che si annuncerebbero volontariamente per prestare servizio, un rapporto di 1 a 20. Un effettivo assolutamente insufficiente per svolgere e garantire le missioni citate sopra.

La conseguenza sarebbe che dovremo far capo a un esercito di professionisti, un esercito che nessuno vuole, più costoso di quello attuale, e che non rappresenterà più il paese, un esercito che giocoforza si concentrerà unicamente sulle competenze di difesa.

Oppure, e questo sarà l’immediato o il prossimo passo, aboliremo il nostro esercito e il nostro apparato di sicurezza. Semplicemente in quanto non più sostenibile, poiché l’astuta iniziativa l’avrà praticamente “smontato”.

Anche in questo senso l’iniziativa, oltre a essere una “non iniziativa” perché non propone nulla ma destabilizza unicamente alle basi un modello funzionante, tace intenzionalmente sulle sue conseguenze e sulle sue implicazioni. Semplicemente perché l’obiettivo finale, che è stato più volte mancato in passato, è quello di abolire l’esercito.

Il giovane volontario di 25 anni nell’esercito di milizia? Non lo so, ma probabilmente non sarà spinto da motivi di solidarietà, e non rappresenterà più il tessuto sociale. Inoltre sarà esposto a tutta una serie di potenziali discriminazioni da parte per esempio del datore di lavoro: chi glielo farà fare una volta che l’obbligo di servire fosse stato abolito?

Una compagnia di professionisti: dipenderà dai criteri di selezione, dagli incentivi finanziari, dalla qualità e sofisticazione degli apparecchi e dei centri (nuovi centri e caserme) di formazione. Una modesta e costosa truppa di professionisti, al centro di un paese democratico, lontano dalla popolazione, e che non trarrà più profitto dal trasferimento di competenze ed esperienze di cui oggi sia l’esercito, sia il civile, traggono vantaggio.

Al giorno d’oggi molte battaglie si combattono e si vincono a parole. Ciò vale anche per un militare armato di fucile d’assalto. Valuti l’efficacia propagandistica degli avversari dell’esercito. Dove risiede la loro forza, dove la loro debolezza?

MN   La forza degli iniziativisti sta proprio nel non proporre e nei loro slogan. Capsule però vuote! Lasciano intendere che non sono per l’abolizione dell’esercito ma vogliono solo lasciare la libertà all’individuo se prestare servizio o no. L’iniziativa come detto è astuta e non propone assolutamente nulla, perché non c’è nulla da proporre, c’è solo da smontare.

Slogan su cifre, su certificati medici di convenienza, su soldati che hanno incontrato difficoltà (come se in altri ambiti nessuno incontrasse mai difficoltà e tutto fosse perfetto), dimenticando che il modello funziona, che più di 20’000 giovani assolvono ogni anno le scuola reclute.

La loro debolezza: si ripetono, non convincono perché non c’è concretezza in quanto propongono, perché sanno e lo hanno sempre dichiarato, che quello che vogliono è l’abolizione dell’esercito. E in questo senso l’iniziativa è intelligentemente e astutamente costruita, in quanto sanno benissimo che se andassimo a votare a favore dell’abolizione dell’esercito (nuovamente) non avrebbero nessuna chance.

In genere si ritiene che l’iniziativa sarà respinta. Ma quale livello raggiunto dal Sì potrebbe realmente indebolire la posizione dell’esercito, assimilando una vittoria a una “quasi sconfitta”?

MN   Questa è una questione che bisognerebbe porre ai politologi: a noi basta che venga respinta e che si rispetti (senza di nuovo tornare alla carica tra un paio di anni), la volontà e il voto espressi democraticamente!

Gli iniziativisti non vedono il valore morale dell’esercito di milizia, anzi lo contestano. Ma lei non la pensa così…

MN   No, evidentemente non la penso così, anzi! Ma il riferimento “alla morale” non stupisce; mentre un esercito volontario (o professionale) sarebbe morale? Come diceva recentemente una deputata al Gran Consiglio argoviese: “Se l’obbligo di servire è una limitazione della libertà individuale, la rinuncia alla sicurezza e alla difesa del nostro paese è un attacco immensamente più grande!”

Col SMG Marco Netzer, membro del Comitato cantonale interassociativo contro l’abolizione dell’obbligo di servire