Il prossimo 22 settembre il popolo ticinese sarà chiamato ad esprimersi sul divieto di coprirsi il volto nei luoghi pubblici od aperti al pubblico. Non è certo un mistero che il burqa ricadrebbe in pieno sotto questo divieto.

All’iniziativa popolare promossa dal Guastafeste che vuole inserire il divieto di burqa nella Costituzione, la maggioranza del governo e del parlamento oppone un controprogetto che propone di iscrivere il divieto nella legge.

Come era scontato gli avversari della proposta  – fautori del politicamente corretto e del multiculturalismo che è completamente fallito – tentano di far scivolare il dibattito sulla libertà di religione. Ma non è questo il tema. L’iniziativa non mette in discussione la libertà di religione, poiché il burqa – e sono gli stessi musulmani a dirlo – non risponde ad alcuna prescrizione religiosa. Semmai si tratta della presunta libertà di vivere in Ticino rifiutando i valori fondamentali della nostra società, e di ostentare questo rifiuto. Noi questa libertà non la dobbiamo né possiamo concedere.

Il burqa è il simbolo dell’oppressione della donna, della negazione dei suoi diritti, ed è contrario ai nostri valori fondamentali. Per questo è allucinante sentire la presidente della commissione cantonale per le pari opportunità***, finanziata con i soldi del contribuente, sostenere il burqa in nome delle “aperture” ad ogni costo; magari un domani anche alle teorie di tale imam Nicolas Blancho secondo cui picchiare le donne è un diritto (e i nostri media di cosiddetto servizio pubblico continuano a dare spazio ad un tale soggetto?).

Sulla presunta anticostituzionalità del divieto di burqa, vale la pena rilevare che il Tribunale federale ha stabilito che il porto del foulard islamico o di altri abiti per motivi religiosi non rientra nel contenuto essenziale e intangibile della libertà di credo e coscienza. Può quindi essere limitato. Di conseguenza, non solo il burqa, che come detto non risponde ad alcuna prescrizione religiosa, ma neppure un semplice velo che lascia scoperto il viso risulta protetto in modo assoluto. Vale poi la pena ricordare che perfino il presidente della Commissione federale della migrazione, Francis Matthey, si è espresso pubblicamente, seppur a titolo personale, contro il burqa.

Sarebbe molto pericoloso illudersi che i principi di libertà che stanno alla base della nostra società siano garantiti a tempo indeterminato. Questi principi, perché abbiano un futuro, vanno affermati e difesi. A maggior ragione se si considera che politiche migratorie irresponsabili hanno spalancato le porte del nostro Paese a chi, a questi principi, non si sogna di adeguarsi: ovvero a persone che non sono al loro posto in Svizzera.

L’argomento della sicurezza, su cui punta il controprogetto, è fondato ed importante: girare a volto coperto crea effettivamente problemi di sicurezza. Ma non è certo l’unico. Poiché il burqa costituisce la negazione dei valori fondanti della nostra società, è corretto che il divieto di burqa venga inserito nella Costituzione, dove trovano posto le norme fondamentali. Ed è anche una questione di rispetto dei diritti democratici. Infatti, il divieto inserito in una legge potrebbe venire poi abrogato dal Gran Consiglio tramite semplice votazione parlamentare. Per modificare la Costituzione, invece, serve una votazione popolare. Tuttavia, quando il popolo decide una norma, il minimo che si può pretendere da chi la vuole abrogare è che torni ad interpellare il popolo. E’ una questione di correttezza elementare. Altrimenti il “giochetto” è troppo facile.

Il prossimo 22 settembre votiamo dunque Sì all’iniziativa “Divieto di dissimulazione del viso nei luoghi pubblici”.

Lorenzo Quadri, consigliere nazionale, Lega dei Ticinesi