I governi passano, Goldman Sachs resta. A un certo punto del documentario c’è qualcuno che lo dice. Non è un’iperbole, ma l’impietoso punteggio della partita attuale tra economia e politica. Vince la finanza, perdono tutti gli altri. E sul podio c’è sempre Goldman Sachs.

Il che rende particolarmente interessante Goldman Sachs: la banca che dirige il mondo, il film del francese Jérôme Fritel.

“Non mi era mai successo di ottenere il novanta per cento di rifiuti a richieste di interviste – ha detto il regista – Su oltre trecento tentativi ne abbiamo girate una quarantina, per poi tenerne la metà. E molti di quelli che avevano già parlato nel libro di Marc Roche, il mio punto di partenza, hanno acconsentito a farlo di nuovo solo lontano dalla telecamera. Il fatto è che, una volta entrato nell’azienda, non ne esci veramente mai.”

I monaci-banchieri, come li definisce un fuoriuscito, sembrano sottoscrivere il motto nietszchano: “Ciò che non ti uccide ti rende più forte”.
La crisi, ad esempio.
Prima che la bolla dei subprime esploda, lasciando macerie dove una volta c’erano case, capiscono e agiscono.
Creano un nuovo prodotto cui danno l’innocuo nome di Abacus, il pallottoliere, una cosa semplice, da bambini. In quel pacchetto ci sono i peggiori mutui in circolazione: loro lo sanno, i clienti no. È così difficile capirlo che ne fa incetta anche la Ikb, antica banca tedesca che fallirà per questo.

paulsonGoldman Sachs è una banca fondata sul conflitto di interessi.
Prendete Hank Paulson. Dal 1999 al 2006 è amministratore delegato di Goldman Sachs. Lascia per andare a fare il ministro del tesoro del governo Bush (sotto Clinton c’era già stato un altro ex, Robert Rubin).
È lui a decidere nel settembre 2007 di non salvare Lehman Brothers, avversario storico del suo precedente datore di lavoro.
Sempre lui, a stretto giro, a intervenire in favore di Aig, il colosso assicurativo che garantisce i mutui. Se cade quella, la molto esposta Goldman perde dieci miliardi di dollari.

blankfeinLloyd Blankfein, l’attuale numero uno di Goldman Sachs, che si vanta con il Wall Street Journal di fare il lavoro di Dio, intendendo la creazione di denaro dal nulla.
Figlio di un postino e di un’addetta alla reception, cresciuto in case popolari di Brooklyn dove i bianchi scarseggiano, ha sgomitato sino al vertice e ora ha un perma-riso stampato in faccia, alla Joker.

A un certo punto si vede uno spezzone di un’intervista alla superpotenza televisiva Charlie Rose. Domanda: “Avete venduto un prodotto che scommetteva contro i vostri clienti?”.
Segue una pausa, un minuto, forse più. Sembra un’eternità. «Qualcuno ci chiama un casinò, ma se anche fosse siamo un casinò socialmente molto importante.”

“Quando alla fine degli anni ‘80, sull’onda della forte deregulation finanziaria britannica, aprono gli uffici a Londra – spiega il regista Fritel – si preoccupano di reclutare quanti più politici possibili, che diventino loro ambasciatori. Più tardi sarà il turno, come consulenti con credibilità a Bruxelles, anche di Mario Monti e Romano Prodi.”

Ben più organico è un altro italiano, Mario Draghi. L’attuale governatore della Banca centrale europea ne è managing director e vice chairman dal 2002 al 2005. Il comunicato ufficiale descrive il suo ruolo come quello di aiutare l’azienda a sviluppare e portare a termine affari con le principali aziende europee e con governi di tutto il mondo.

Nel film un europarlamentare verde, il francese Pascal Cafin, gli chiede in udienza pubblica che ruolo abbia avuto nella discussa vendita di derivati che ha consentito alla Grecia di ridurre di due punti il proprio debito pubblico: “E’ avvenuta prima del mio arrivo e io non ci ho avuto niente a che fare.”

Insiste Fritel: “Ciò che sorprende è che Draghi abbia sostenuto di non voler occuparsi di governi quando tutti sapevano il contrario. Alcune nostre fonti ci hanno detto che era stato preso proprio nell’eventualità di pensare ad accordi del genere, legali ma scarsamente etici visto che i debitori finiscono per aggravare la propria posizione, con altri Paesi indebitati, come Francia e Italia.”

Nel documentario viene fuori bene l’ethos di questi banchieri, a cui sembra decisivo non solo guadagnare tanto, ma più di tutti gli altri colleghi.

Una ex-Goldman ‘pentita’ racconta un aneddoto: “Un venerdì pomeriggio convocano i neo-assunti per una riunione con il management. Passano le ore, nessuno si presenta. È estate, fuori la gente parte per il mare, le matricole rumoreggiano. Passano altre ore e qualche temerario, scocciato, se ne va. Alle dieci di sera finalmente arrivano i dirigenti. E licenziano seduta stante chi ha abbandonato il campo.”

Questa è l’azienda. Gli ordini non si discutono. I vecchi compagni non si tradiscono. Goldman ha sempre ragione (anche quando un suo errore informatico rischia di bruciare in un attimo 100 milioni di dollari).

(Wall Street Italia.com)