Da Bucarest a Lugano attraverso Firenze
Un’infanzia e una giovinezza all’ombra del Dittatore
La triste Romania di Ceausescu
Poi l’Italia… (continua)


Daniela Patrascanu è una pittrice che da poco tempo vive e lavora a Lugano. Ha vissuto per parecchi anni in Toscana, dove ha studiato, affinato la sua tecnica e incominciato a farsi conoscere e ad affermarsi. Ticinolive l’ha intervistata. In questa prima parte Daniela ci parla della sua vita in Romania al tempo di Nicolae Ceausescu. Una testimonianza vivida e forte, intensa, realistica, di grande interesse.

Un’intervista di Francesco De Maria.


Francesco De Maria   La sua vita, sino ad oggi, si compone di due parti. Una prima parte, non breve, nel suo paese d’origine, la Romania. Una seconda in Occidente: in Toscana, e ora – da un solo anno – a Lugano. Parliamo della Romania (che, tra l’altro, ho recentemente visitato per la prima volta). Lei è nata durante il regime del dittatore Ceausescu. Che ricordi ha di quegli anni? Quanta libertà aveva la gente: nell’esprimersi, nell’associarsi, nello spostarsi (in patria e all’estero), nello scegliersi un lavoro?

Daniela Patrascanu    Sono nata in un paese dove la libertà di espressione era unidirezionale: avevi il “ diritto “ di lodare e venerare colui che veniva chiamato “ il figlio più amato del popolo “, il presidente Ceausescu. Da piccola ho appreso con paura che non potevi lamentarti della situazione reale in cui vivevi, delle numerose privazioni, perché rischiavi di essere preso dalla Securitate, interrogato, torturato e punito. Si sapeva che tra i parenti, i vicini, i colleghi di lavoro esistevano numerosi informatori. Dovevi far finta che tutto funzionasse così come veniva presentato dai media anche se eri malnutrito, mal vestito, avevi freddo, ecc. Mi sono rimaste impresse nella mente, purtroppo, le sensazioni di quando studiavo da ragazzina indossando cappotto, cappello e guanti alla luce di una candela!

Tutto ci veniva dato con il contagocce: la corrente elettrica, l’acqua, il cibo… In un certo periodo avevamo il diritto ad un solo kg. di carne, 1 kg di farina, 1 litro di olio per persona al mese! Nei negozi non trovavi niente, le commesse vendevano i prodotti migliori sotto banco in cambio di soldi in più o merce di scambio. E la situazione peggiorava sempre. Non potevi associarti in gruppi troppo numerosi, ovviamente, ma per me la situazione era ancora più crudele perché i miei genitori non mi permettevano di avere amicizie e frequentazioni, nemmeno per i miei compleanni. Di conseguenza mi rifugiavo nella mia cameretta e leggevo, trasferendomi da quel mondo grigio e ingiusto nel mondo dei libri.

Viaggiare all’estero era una semplice utopia. Le mete accessibili, ma non per tutti, erano i paesi comunisti o socialisti. Alcuni, tipo gli sportivi di fama internazionale come Nadia Comaneci, riuscivano anche a vedere i paesi capitalisti e a scappare, non senza conseguenze terribili per le loro famiglie, intendiamoci.

Riguardo il lavoro questo non mancava mai e non doveva mancare. Se non lavoravi eri considerato un parassita e ti spettava il carcere. I vagabondi non erano contemplati. Tutti avevano un lavoro e una casa e si faceva molto volontariato per obbligo, nel senso che allievi, studenti, militari e carcerati venivano usati spesso per raccogliere il grano, l’uva, per pulire le strade ecc. Un’altra sensazione che non sono riuscita a rimuovere e di quando, al liceo, ci portavano a selezionare le cipolle marcite e ghiacciate da un inverno anticipato. Faceva così freddo e non avevamo i guanti e c’era un odore devastante. Bruttissima esperienza ma dovevi essere o almeno fingerti contento e cantare canzoni patriottiche.

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Qual era il livello delle scuole, e com’erano organizzate?

DP   Le scuole erano organizzate bene e si studiava molto. I libri erano prestati dalla scuola e dovevano essere riportati in buone condizioni  a fine anno per essere usati da altri bambini. Nella scuola generale facevi 4 anni di elementari con una maestra e 4 di media con vari insegnanti. Esisteva una divisa ordinaria e una da festa, quella da “pionier”, che si usava alle numerose festività patriottiche e nelle parate. Gli allievi venivano divisi in 2 gruppi : la A dove si trovavano i più dotati e la B per i meno dotati. Ovviamente, a quelli della A venivano dati compiti più difficili ed erano un esempio per gli altri. Alla fine dell’anno scolastico i tre migliori ricevevano una corona di fiori e un diploma con la scritta “Premio I, II, III” e il voto ottenuto. Pur essendo stata una premiata per 8 anni, la mia autostima non era per niente alle stelle per colpa dei miei genitori che non mi hanno mai gratificata nemmeno con una buona parola. Per loro era normale che io fossi così e non c’era motivo di dirmi nemmeno “brava”.

Per accedere al liceo dovevi fare un concorso, almeno a quelli più gettonati dove il numero degli iscritti superava il numero dei posti, e dopo 2 anni c’era un altro concorso per poter passare alla seconda parte. Anche per accedere all’università c’erano  sempre i concorsi, l’atmosfera era di grande competitività. Io ho osato fare il concorso all’ IATC (istituto di arte teatrale e cinematografica) perché negli ultimi due anni mi ero distinta recitando in una pièce e avevo ottenuto un grande successo. Recitavo anche poesie nei vari festival e alcune delle mie erano già state pubblicate.

Mi ero anche preparata  con una grande attrice drammatica, Dina Cocea, ed ero convinta che ce l’avrei fatta. Ahimè, così non è stato. Eravamo più di 400 concorrenti per 4 posti ed io non mi sono ritrovata tra le 4 privilegiate. L’esperienza fu amara ma mi ripresi subito lavorando come insegnante supplente, all’inizio in paesini lontani dove non arrivava nemmeno il bus e dove negli inverni pesanti mi toccava fare 3 km a piedi con la neve fino alle ginocchia. Poi arrivai in città. Ogni anno dovevo fare un concorso di idoneità, concorsi, sempre concorsi, ecco perché ora sono riluttante ad ogni forma di competitività e preferisco solo mettermi in mostra!

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Come ha vissuto la “rivoluzione” (o forse meglio: il colpo di stato) del 1989 ?

DP   Per me è stato un fulmine a ciel sereno anche se la frustrazione e la rabbia della gente era diventata ormai incontenibile. Qualcuno ascoltava la radio “Europa libera“, qualcun altro vantava informazioni riguardo un cambiamento imminente ma io ero talmente assuefatta che non speravo nella libertà tanto desiderata. La sognavo da piccola e mi limitavo a viverla nelle mie fantasie ma non credevo che un giorno sarei arrivata a uscire dalla gabbia e a prendere il volo.

Ricordo l’incredulità, la gioia , l’esaltazione, le vendette, la volontà di dimostrare di essere una persona e non più un robot. A un certo punto erano tanti quelli che volevano diventare proprietari di case e negozi, pur non avendo il senso degli affari, ma non volevano essere da meno. Si era ribaltato un modo di vivere durato 45 anni e la frenesia si mescolava con la confusione. Tutto accadeva velocemente. Anche nel mio caso c’è stato un cambiamento, ovviamente. All’epoca facevo l’insegnante alle medie, mi piaceva il mio lavoro ed ero stimata e rispettata.

Conoscevo la lingua italiana da quando, a 12 anni, scoprii una cartolina di Capri e mi innamorai di quei posti. Iniziò così la mia collezione di cartoline di tutto il mondo. In seguito decisi di comprarmi un corso di lingua italiana trovato in un antiquariato e la imparai da sola. Mi sono stati d’aiuto i rari film italiani che passavano in tv, per poterlo parlare con l’accento giusto. Tutti i film stranieri erano trasmessi in lingua originale, non doppiati ma sottotitolati.

Ebbene, un bel giorno, nella mia città arrivò un signore dalla Sicilia che intendeva adottare un bambino ma non aveva un’interprete. L’unica sua salvezza non potreva essere che “l’italiana”, come mi chiamavano scherzando. Quella è stata la prima volta che ho potuto parlare questa lingua molto amata da me e da lì in poi sono arrivati altri ingaggi come interprete per i vari imprenditori arrivati in caccia di ottimi affari. Basti pensare che nei primi giorni si poteva comprare una garçonnière nel centro di Bucarest per soli 1000 dollari! A quel punto ho lasciato il mio lavoro da insegnante ed ho ottenuto l’attestato che mi ha permesso di lavorare anche per la Camera di commercio. Il tutto intervallato da due viaggi all’anno in vari regioni d’Italia.

Le sue tendenze artistiche si sono manifestate precocemente? Quali i suoi primi studi? Ha frequentato un’accademia?

DP   I miei genitori mi accusavano di scarabocchiare in continuazione ma in realtà si trattava di disegni introspettivi che rivelavano un mondo nascosto. Non c’era comunicazione tra di noi, io ero soltanto un soldatino a cui venivano dati degli ordini e che doveva obbedire. Quello che pensavo, quello che sentivo non era contemplato ma si manifestava attraverso i disegni e le poesie che loro non prendevano in considerazione, come se fosse spazzatura. Non è facile crescere in una famiglia che non ti comprende e non ti sostiene. Per fortuna, anni dopo, ho trovato delle persone in sintonia con me e questo mi ha salvata dall’essere introversa e sentirmi indesiderata e non amata.

Gli studi di disegno e pittura li ho fatti a Firenze, non all’ accademia perché avevo un figlio piccolo da accudire ma in privato con due artisti, di cui uno è risultato determinante per la mia transizione dal paesaggio e dal linguaggio figurativo all’informale. Sto parlando di Amedeo Lanci, pittore e docente di incisione all’Accademia delle Belle Arti di Firenze.

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A un certo punto si è stabilita in Italia. Quale prima impressione ha avuto di questo venerabile (per storia, arte) e – così dicono – decadente paese?

DP   L’Italia è stata una terra adorata da me fin da piccola. Avevo letto tutto quello che si poteva leggere sull’arte e la cultura di quel paese già quando ero in Romania. Ma vedere da vicino le grandi e storiche bellezze architetturali e artistiche ha un altro impatto, ovviamente. Mi è successo spesso di accusare la sindrome di Stendhal in posti come la Galleria degli Uffizi o i Musei Vaticani. Sono estremamente sensibile al connubio arte e bellezza e in qualsiasi posto io vada non posso mancare agli appuntamenti con le mostre o le visite a musei, cattedrali o chiese storiche.

Tutti – ma proprio tutti! – proclamano: l’Italia è in crisi. E allora io le domando: per quali aspetti, e perché ?

DP   Qui si potrebbe aprire un vero dibattito ma preferisco passare oltre, se me lo permette. Dico solo che, a mio modesto parere, l’intera l’umanità si trova in una profonda crisi.    CONTINUA

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