Il dr. Pio Eugenio Fontana, presidente dell’Associazione Libertà e Valori, può a giusto titolo annoverarsi tra i vincenti di domenica 22 settembre. Richiesto dalla Redazione, ci ha mandato questo articolo, che contiene parecchie verità amare (lui ha, noi abbiamo, vinto comunque; festeggiamo almeno un poco…) [fdm]


La valanga di voti con cui il Popolo ha sepolto la subdola iniziativa che il Gruppo per una Svizzera senza Esercito aveva lanciato per distruggere l’esercito (e, con esso, anche la Protezione Civile), dimostra che una parte largamente maggioritaria degli Svizzeri ragiona ancora con la propria testa e tiene i piedi saldamente per terra.

Per 3 cittadini su 4 la sicurezza interna ed esterna del Paese è, dunque, un bene prioritario, che dev’essere cogestito dai cittadini e sovvenzionato con il denaro della comunità. Possiamo quindi tirare un fiato di sollievo. Ma solo uno. Perché, riconfermato il principio (“l’esercito ci vuole e deve essere di milizia”), le sfide saranno molte e complesse. Quante volte, durante la campagna per il voto, abbiamo sentito i disarmisti ripetere che il mondo è cambiato, che le minacce sono diverse, che le guerre in Europa sono ormai impossibili e che il nostro destino sarà di vivere felici e contenti al riparo della NATO e ben integrati nell’Unione Europea?

La triste verità è, però, molto, molto diversa. Il mondo sta evolvendo, questo è certo, ma sicuramente non verso una situazione di maggiore quiete e stabilità. Le tensioni economiche, sociali, razziali e religiose in Europa stanno crescendo a vista d’occhio ovunque e la Svizzera, ancora relativamente stabile e ricca, si trova sempre più circondata da paesi ostili, governati da classi politiche corrotte ed inette, ormai incapaci di garantire la qualità di vita, la sicurezza e la pace sociale degli abitanti.

Per non parlare dell’ormai inarrestabile afflusso in Europa di moltitudini di migranti dall’Africa e dall’Asia, spesso portatori di culture e religioni incompatibili con le nostre. Jean Claude Juncker, primo ministro del Lussemburgo e già presidente dell’Eurogruppo, ha affermato su Spiegel Online il 10 Marzo 2013: “Chi crede che l’eterna questione della guerra e della pace in Europa non si ponga più, potrebbe sbagliarsi fortemente. I demoni non sono stati ancora sconfitti, semplicemente dormono. Mi spaventa ammettere che le condizioni europee del 2013 assomigliano a quelle di cento anni fa”.

È questa una situazione molto preoccupante, in rapidissima evoluzione, della quale coloro che hanno deciso di mantenere l’armata di milizia sono, in modo più o meno consapevole, coscienti. Quello che probabilmente non conoscono, è lo stato di precarietà in cui versa il nostro esercito. Decenni di continui tagli numerici e finanziari (la famosa “tattica del salame”) gli hanno arrecato dei danni tanto gravi da ridurne sensibilmente la capacità di far fronte al suo primo compito, quello della difesa del territorio nazionale e della popolazione da minacce armate, convenzionali o non, provenienti dall’esterno. L’armamento pesante è in gran parte fatiscente se non, in molti casi, mancante. L’aviazione è in grado di tenere costantemente in volo un solo apparecchio da caccia e per non più di qualche giorno. Tanto che, nel 2010, in occasione delle Giornate della Francofonia, la protezione dei cieli venne assicurata dall’aviazione militare francese.

L’artiglieria, dal canto suo, si sta disfacendo del suo munizionamento a grappolo (l’unico utilizzabile in una guerra moderna) grazie a un accordo di rinuncia che è stato firmato, oltre che dalla Svizzera, anche da un certo numero di altri paesi dall’importanza politica e militare pressoché nulla e rifiutato dalle grandi potenze, le uniche che l’hanno utilizzato e l’utilizzano tutt’ora sistematicamente, in genere a casa degli altri.

Poiché il Sovrano, a grandissima maggioranza, ha deciso di mantenere l’esercito di milizia, è ora necessario impegnarci affinché esso venga sollevato dall’attuale degrado e disponga nuovamente delle risorse umane e materiali necessarie ad adempiere, in modo credibile, ai suoi doveri, in particolare quello di essere pronto a combattere efficacemente un’aggressione armata, da qualunque parte essa dovesse provenire. Il che vorrà dire investire più soldi. Dovremo acquistare i Gripen, ridiscutere la prevista riduzione a 100.000 uomini e, più in generale, porre fine al lento soffocamento di cui la nostra armata è oggetto da troppi anni.

Pochi sanno che, in Svizzera, spendiamo ogni anno di più per assicurare gli autoveicoli che per la difesa nazionale. Ma quasi tutti, ormai, sono consapevoli delle cifre gigantesche che impegniamo per sostenere l’economia di paesi stranieri che ci ricambiano assediando il nostro sistema bancario. Per non parlare delle estorsioni miliardarie che i nostri politici hanno deciso di far subire al Paese da parte degli Stati Uniti. O della moltitudine di criminali, d’importazione e non, che coccoliamo a spese del contribuente affinché possano continuare a spacciare, rubare, violentare ed uccidere.

Saremo capaci di far seguire all’esito della votazione i fatti? Difficile dirlo. Di certo capiremo molto presto se  disponiamo ancora della forza morale e della determinazione necessarie a riprendere in mano il nostro destino o se, invece, la luce accesa nel 1291 si è irrimediabilmente spenta e siamo condannati ad un futuro passato sulle ginocchia.

dr. Pio Eugenio Fontana