Manifestazione del 19 ottobre 2013


Lo scorso 22 settembre, i cittadini ticinesi hanno avallato alla grande, con il 65% dei consensi, l’iniziativa volta a vietare la dissimulazione del volto nei luoghi pubblici, nota anche come iniziativa antiburqa. Alla maggioranza della sinistra, al coordinamento donne della sinistra (eh sì, per quanto paradossale possa sembrare, vi sono donne nel nostro Cantone che difendono forme oppressive come il burqa), a certe organizzazione come “Amnesty International” e agli  indefessi fautori della  multiculturalità (il cui fallimento è stato riconosciuto da importanti paesi europei) questo risultato non è piaciuto e ha provocato irritanti fastidi. Reazioni stizzite e incattivite, in dispregio delle basilari norme della democrazia del nostro  paese,  si sono levate  all’indomani di un risultato che ha avuto una vastissima eco in Svizzera e all’estero. C’è poi chi ha già minacciato ricorsi a istanze di non so quale grado. Complimenti per l’alto senso democratico e per il rispetto della volontà popolare!

Alcuni di questi signori, spalleggiati da diversi organi d’informazione, si sono poi spinti oltre, additando l’iniziativa e il gruppo  promotore (di cui mi onoro di far parte)  di razzismo, xenofobia, islamofobia ecc. Questo sistema di attaccare con simili appellativi gli avversari politici o chi non la pensa come le cerchie citate lo conosciamo fin troppo bene.

Si utilizzano termini quali fascista, razzista, xenofobo e populista,  che  evocano automaticamente un sentimento di denuncia, tradendo spesso il loro significato originale, per combattere strumentalmente una certa parte politica, imprimendole una sorta di marchio dell’infamia, ciò che la rende delegittimata di fronte all’opinione pubblica. Come scriveva qualcuno pochi giorni fa, negli anni ’70 del secolo scorso dare del “fascista” a qualcuno equivaleva ad una condanna a sicura morte civile; negli anni ’80 e ’90 essere catalogati come “qualunquista” era disdicevole, mentre in questi ultimi anni è il termine “populista” a campeggiare negli appelli di denuncia dei moralisti e moralizzatori a senso unico.  Alle nostre latitudini, per esempio, chi dice alcune verità sulla percentuale dei reati commessi  da cittadini stranieri rischia seriamente di vedersi appioppare almeno uno degli sgradevoli appellativi citati poc’anzi; perché  certe cose non si dicono, non è “politicamente corretto”.

L’ultimo esempio di questo perverso e insano giochetto l’abbiamo visto con l’appello alla manifestazione del prossimo 19 ottobre  a Lugano, lanciato dai partiti di sinistra,  dagli astiosi gruppetti stile Brut-Ticino (ma loro ci tengono, pur tentandole tutte inutilmente,  a farsi chiamare  Bel-Ticino) e dai sindacati UNIA, VPOD e sindacato dei mass media SSM. Oltre alle legittime rivendicazioni a favore di salariati e dipendenti,   in questo appello spicca l’attacco a tutto campo a “il Mattino della domenica”. Il Ticino, lo sappiamo bene, è terra di profonde ed effervescenti dispute politiche,  ma, senza dare particolare importanza agli organizzatori di questa manifestazione (alcuni dei quali sentono un gran bisogno di profilarsi, visti gli scarsi risultati politici finora ottenuti),   non si era mai visto un appello alla mobilitazione e una chiamata a raccolta di questo tipo contro un giornale.

Alla faccia della libertà di stampa e di pensiero!

Indipendentemente dalle posizioni  che “il Mattino”  assume, v’è poi da chiedersi il ruolo fuori luogo, ma decisamente molto strumentale, assunto dai sindacati citati, che sono sempre più in balìa della volontà e degli umori dei loro dirigenti e forse per questo continuano a perdere aderenti. V’è da chiedersi quale sia  in quest’operazione l’obiettivo dei sindacati , all’interno dei quali vi sono iscritti di tutti le aree (Lega compresa). Per chi non lo sapesse, essere iscritti a un sindacato comporta il pagamento mensile di una quota d’affiliazione e allora l’interesse degli affiliati dovrebbe avere la preminenza sugli interessi di bottega dei dirigenti sindacali.

Che dire poi di un sindacato dei mass media che scende in piazza non a difesa della categoria, ma contro l’orientamento  di un  diffuso media cantonale? Gli iscritti a questo sindacato sono davvero tutti votati al pensiero unico che i loro dirigenti esprimono?

Roba da matti, verrebbe da dire, se non si capisse, com’è ormai chiaro, che in questo caso qualche partito politico le tenta davvero tutte per sopravvivere, cercando e costruendo il nemico politico da abbattere con la  tattica della delegittimazione.

Iris Canonica