Pubblicato dal Corriere del Ticino e riprodotto con il permesso dell’Autore. Tito Tettamanti continua nella sua ammirevole “campagna” mediatica. Ci sono forze – ci dice – che vogliono cambiare (in peggio) il “sistema Svizzera”, al quale siamo debitori di tanta parte del nostro benessere (senza talvolta neppure rendercene conto). Il grande finanziere ticinese, che non ha paura di prendere le difese del capitalismo (ciò che non implica che egli ne difenda ogni aspetto possibilmente deviante – esempi “orrendi” sotto gli occhi di tutti), sembra incitare – con l’esempio – la Destra a una maggiore attività intellettuale e politica. (ndR) È una parola! La nostra (mi ci metto anch’io) bandiera è l’ignavia. Certo, giochiamo a golf (non io); indubbiamente, frequentiamo il Rotary; e l’isola Mauritius è la nostra meta prediletta.


Qualche tempo fa il presidente del Consiglio italiano Letta si è recato a New York allo scopo di convincere operatori economici statunitensi ad investire in Italia. Apprezzabile sforzo; dubito del risultato. Nei mesi scorsi il presidente francese Hollande ha convocato gli industriali francesi chiedendo loro di investire nel Paese e cercando di convincerli che le politiche del suo Governo non erano pregiudizialmente contro i loro interessi e la loro categoria. Dubbi legittimi, specie dopo l’atteg­giamento nei confronti dell’Alcatel, e atmosfera freddina. Paesi sviluppati ed economie emergenti, Governi di ogni colore cercano di attrarre attività imprenditoriali nel proprio territorio, spesso offrendo incentivi e sussidi (non sem­pre indispensabili e talvolta neppure utili). Comprensibile. Nuovi investimenti vogliono dire nuovi posti di lavoro, acquisti di macchine, costruzioni di capannoni, necessità di case, maggior incasso di imposte sui redditi, lavoro per l’indotto (trasporti, assicurazioni, subappaltanti, fornitori), soldi nelle tasche dei lavoratori che sono al contempo consumatori e contribuenti.

Ovvio che un industriale esamini tutti i possibili aspetti positivi (o negativi) che accompagnano l’ubicazione di un investimento. La disponibilità di mano d’opera preparata (una delle prime preoccupazioni), il costo del lavoro che non è rappresentato dal solo salario, ma anche dalla serie di contributi che in alcuni Paesi raddoppiano per l’azienda l’ammontare che finisce nelle tasche del collaboratore. La flessibilità ed elasticità del mercato del lavoro, l’atteggiamento realistico e concreto o per contro ideologico (sostanzialmente antisistema) dei sindacati, l’efficienza della burocrazia (o addirittura la corruzione o l’inerzia che accompagna atti dovuti). Ovviamente, anche la fiscalità ha la sua importanza compresa una flessibilità che eviti atteggiamenti scioccamente punitivi. Ma forse l’elemento determinante per la decisione è il rischio Paese .

L’attività industriale ha come orizzonte i decenni, il mordi e fuggi non è nel suo DNA. Si deve quindi poter contare su Paesi e politiche che assicurino stabilità e diano certezza, salvo investimenti pionieristici in Paesi emergenti dove si conta che l’alto rischio venga compensato da altissimi redditi. Modifiche repentine di leggi e ordinanze, o peggio ancora dei criteri di applicazione, interpretazioni cervellotiche pur di favorire le casse dello Stato, ipotizzabili retroattività di atti legislativi o amministrativi sono ciò che più spaventa. Queste riflessioni mi sono venute alla mente leggendo il comunicato della Conferenza dei direttori dell’economia dei Cantoni svizzeri. Si viene a sapere che nel 2012 il totale di ditte straniere che hanno iniziato un’attività in Svizzera è diminuito del 20%. Peggio ancora dal punto di vista dei posti di lavoro creati, diminuiti del 40%.

Forse qualche ammiratore dei Flintstones e del buon tempo antico sarà contento. A mio parere, pur senza lasciarsi prendere da ansie inopportune, c’è da sperare che il trend non continui in tale direzione. Anche le ricchezze apparentemente più solide possono subire contraccolpi pesanti. Il regresso denunciato del 20% è sicuramente conseguenza della crisi generale e di quella europea in particolare. Di un clima preoccupante e di un’economia alimentata dalle fle bo delle banche centrali che non invitano ad investire.

Mi sono però anche chiesto: non è che recenti atteggiamenti e proposte di leggi in Svizzera abbiano indotto possibili potenziali investitori stranieri alla prudenza? Le informazioni corrono velocemente e dinanzi alle proposte della sinistra di controllo dei salari (1:12), introduzione del salario minimo, salario di cittadinanza, imposta ereditaria confiscatoria, è ipotizzabile che qualche interessato si chieda se la Svizzera stia per cambiare. Potrebbe darsi che altre destinazioni si impegnino per offrire una stabilità che sembra noi si voglia mettere in gioco.

Domanda legittima dinanzi a un disegno e proposte volti a mutare il quadro dell’economia svizzera. Domanda che dovremmo porci anche noi: abbiamo interesse che la Svizzera economica cambi ed il suo benessere venga messo in forse?

Tito Tettamanti