Da un anno a questa parte l’euro ha guadagnato molto terreno nei confronti del dollaro (il 9% fra giugno e l’inizio di ottobre).
Per molti dirigenti di azienda europei la forza dell’euro costituisce un handicap per lo svolgimento dell’attività al di fuori delle frontiere europee
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Il vice governatore della Banca di Francia, Robert Ophèle, spiega perchè la Banca centrale europea non interviene per frenare l’aumento del costo dell’euro.

“La forza dell’euro ci penalizza enormemente nella nostra attività in tutti i paesi dove cerchiamo la crescita, come in Cina o in Brasile. Il potere d’acquisto dei consumatori ai quali ci rivolgiamo in queste regioni è totalmente inadeguato – segnala Emmanuel Arabian, direttore finanziario presso la società francese Biomérieux.

“Come spiegare che la Banca centrale europea non abbia una vera politica di cambio? – chiede Eric Bourguignon, direttore della gestione dei tassi di credito presso Swiss Life Asset Managers. A suo dire, attraverso la politica del Quantitative easing, la stampa di moneta, la Federal Reserve statunitense, la Banca d’Inghilterra e la Banca centrale del Giappone agiscono direttamente sul corso delle rispettive monete.
Con la BCE non è invece il caso, malgrado abbia un margine di manovra per agire sul cambio.

Secondo Robert Ophèle questa situazione si spiega con diversi motivi. Innanzitutto, nei paesi sviluppati le banche centrali che agiscono frontalmente sul tasso di cambio sono poche.

“Tanto quanto è facile agire, tanto quanto è complicato raggiungere l’effetto desiderato. Molti istituti monetari hanno cercato di agire e sono stati poco efficaci, o per nulla. Anche interventi congiunti fra banche centrali non hanno avuto ripercussioni conseguenti. L’unico esempio di successo che mi viene in mente è quello della Banca nazionale svizzera.

Questa difficoltà nel manipolare il tasso di cambio dipende principalmente dal fatto che è molto difficile afferrare la formazione del tasso di cambio. Alcuni eventi non previsti possono avere un’importante incidenza su questo tasso, ad esempio lo shutdown negli Stati Uniti il mese scorso, che aveva portato a un considerevole deprezzamento del dollaro.

Inoltre, globalmente la Zona euro è in eccedenza di pagamento di circa il 3% del Pil. Un parametro di base sfavorevole a un calo del corso dell’euro.
Il problema è essenzialmente intra-europeo e non specifico alla Zona euro nel suo insieme. Gli industriali francesi non si iscrivono nella medesima ottica degli industriali tedeschi. Per questi ultimi, che hanno una richiesta sostenuta dei loro prodotti, più l’euro è caro e più guadagnano.”