La requisitoria di Papa Francesco contro il capitalismo non piace ai liberali, perchè denunciando la perversione della finanza mondiale, “la legge del più forte” in nome della competitività, il Pontefice attacca la centenaria dottrina sociale della Chiesa.

In un documento chiamato “esortazione apostolica”, reso pubblico il 26 novembre a Roma, Papa Francesco ha denunciato severamente il capitalismo e il liberalismo economico.

Prova di un cambio di priorità nella Chiesa, il Pontefice consacra solo poche righe ai matrimoni fra omosessuali, mentre in diverse pagine traccia un bilancio implacabile della situazione economica mondiale.

Non è la prima volta che un Papa interpella i suoi contemporanei e i responsabili politici sui disequilibri economici e le disparità sociali, ma Papa Francesco – che viene dall’America latina dove convivono situazioni di povertà estrema e di estrema ricchezza – ha chiaramente scelto il suo campo.
Dà una nuova direzione a quella che storici e teologi chiamano la “dottrina sociale” della Chiesa.

Secondo il Papa, l’economia liberale è un’economia dell’esclusione che uccide. Riferendosi ai media, si dice disgustato che una persona anziana ridotta a vivere per strada muoia di freddo senza che alcun giornale ne parli, mentre un calo di due punti in Borsa è una notizia da prima pagina.
Il Pontefice ritiene che l’economia mondiale ha creato una cultura del rifiuto : l’essere umano è un bene di consumo che si può usare e in seguito buttare via. Oltre a essere sfruttato, il lavoratore è ridotto allo stato di rifiuto, fa parte “dei resti”.

Jorge Mario Bergoglio non vuole il rovesciamento dell’ordine economico, né una qualsivoglia rivoluzione. Non interviene sul ruolo di regolatore dello Stato, non fa discorsi sul senso della Storia e non è un marxista. Però rimette in causa la relazione di sottomissione ai soldi, il regno assoluto della finanza e del mercato sugli esseri umani, il predominio e la perversione della finanza mondiale.

Scrive : “La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i suoi disequilibri e soprattutto la grave assenza di un orientamento antropologico, che riduce l’essere umano a un unico dei suoi bisogni : il consumo.”

Le dichiarazioni del Papa sorprendono e non fanno l’unanimità. Taluni commentatori, in Francia e oltre Oceano, mettono in causa la sua competenza economica, corrono in aiuto al liberalismo invocando le virtù del mercato e del profitto.
Un giornalista della rivista economica americana Forbes scrive che il Papa non capisce l’evoluzione del mondo : “Il liberalismo e la mondializzazione hanno ridotto le disparità, da 30 anni la povertà scende a un ritmo mai visto prima. Miliardi di persone sono state liberate dalle assurde esigenze del collettivismo e hanno potuto raggiungere la miglior macchina produttrice di ricchezza mai creata sinora, un certo grado del libero mercato.”

Nel 1891 un altro Pontefice, Leone XIII, scriveva la prima enciclica sociale (“Rerum Novarum”), considerata uno scandalo. Per la prima volta, la più alta autorità della Chiesa deplorava la concentrazione nelle mani di pochi di tutti i redditi dell’industria e del commercio. Criticava l’esistenza di “un piccolo numero di ricchi e di opulenti che impone un giogo servile all’infinita moltitudine dei proletari”.

Leone XIII rompeva con il paternalismo che faceva della carità e dell’elemosina il rimedio a tutti i mali, dell’ineguaglianza una legge di natura e dello scarto fra ricchi e poveri una fatalità. Il suo testo, fondamento della dottrina sociale della Chiesa, aveva fatto inorridire gli ambienti capitalisti e tutti i benpensanti.

Papa Francesco va più lontano di Leone XIII. Se la prende con il cinismo del mondo capitalista, non spende una parola sui benefici del profitto e della libertà imprenditoriale, giustificati da tutti i suoi predecessori.
Anche se gli viene rimproverato di non proporre alcun modello alternativo, il Pontefice non cambia toni e respinge gli eccessi del sistema produttivo e liberale, provocando gli esperti finanziari e i governanti del mondo intero.

(Fonte : Slate.fr)