Fra una ripresa debole, i rischi all’orizzonte e la politica del “ognuno per sè”, l’economia mondiale non vede la fine del tunnel. La crisi economica era scoppiata alla fine del 2008 : perchè 5 anni dopo non è ancora finita?.

Quando era scoppiata nel 2008 (partita dagli Stati Uniti, aveva in poco tempo raggiunto l’Europa) i commentatori e i dirigenti politici occidentali erano stati unanimi nel sottolineare che si trattava della crisi economica più grave dopo quella del 1929.

Segno della gravità della situazione il fatto che una volta tanto la comunità internazionale aveva reagito in maniera collettiva. L’obiettivo era chiaro : evitare che la crisi finanziaria degenerasse in una grande depressione come era accaduto negli anni 1930.
Oggi il peggio sembra essere passato, le grandi potenze economiche hanno ripreso a occuparsi dei propri affari e ufficialmente l’allarme sembra essere passato. Ma quando si guardano le cifre da vicino si vede bene che l’emergenza non è terminata e che la crisi continua.

Tutti hanno notato che gli economisti e l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, avevano abbassato le previsioni di crescita per il 2013 e il 2014, ma i toni molto negativi delle dichiarazioni del vicedirettore generale dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, il 19 novembre sono stati percepiti in maniera insufficiente:

In questi ultimi mesi tre grandi eventi hanno eroso la fiducia e destabilizzato i mercati, spiegando in parte la revisione verso il basso delle nostre previsioni dall’ultima edizione delle Prospettive economiche.
Innanzitutto, la reazione all’annuncio della Federal Reserve americana di un rallentamento dei suoi acquisti di attivi è stata molto forte.
Poi, l’aumento delle preoccupazioni relative alle evoluzioni in corso in talune economie emergenti ha ravvivato le tensioni sui mercati e accentuato le uscite di capitale.
Infine, gli Stati Uniti hanno sfiorato una crisi potenzialmente catastrofica legata al tetto del debito dello Stato federale.
Questi eventi, già citati fra i rischi lo scorso maggio, mostrano bene la preponderanza degli scenari negativi e dei rischi di vedere di nuovo un ribaltamento della ripresa. Episodi simili potrebbero d’altronde riprodursi, forse anche in una forma più violenta. Inoltre, potrebbero tornare altre minacce di lunga data.

Queste poche righe mostrano come l’umore non sia fra i migliori tra chi riflette sul futuro dell’economia mondiale. Un economista le cui previsioni ufficiali sono ragionevolmente ottimiste, commenta in questo modo le dichiarazioni dei suoi omologhi dell’Ocse :

Non c’è da sorprendersi. Quando si esce da una crisi di forte indebitamento, a meno di approfittare di una forte inflazione o di una cancellazione del debito, è necessaria una generazione per registrare un vero ritorno a una situazione normale.

Più ottimista, un altro economista afferma che si devono contare almeno 8 anni per cancellare il costo degli errori passati. 8 anni o 20 anni : l’economia mondiale dovrebbe vedere tempi migliori solo dopo il 2020…

Siamo in una fase in cui segnali positivi coesistono con segnali preoccupanti. Bernard Aybran, direttore presso Invesco Asset Managment, accoglie con soddisfazione, come tutti i gestori di capitale, il forte aumento dei mercati azionari dall’inizio dell’anno, ma segnala che nella Zona euro l’indebitamento globale continua a aumentare. Se il debito del settore privato (nuclei famigliari e imprese) è un po’ calato negli ultimi anni, quello del settore pubblico è aumentato in maniera considerevole.

Nessuno dei grandi rimedi per far calare il peso del debito ha funzionato e dunque nei paesi più deboli della Zona euro si pratica la politica dell’austerità. Una politica disastrosa, che ha per conseguenza l’aumento della disoccupazione, la chiusura delle piccole aziende, il rallentamento della domanda interna, sia che si tratti di domanda pubblica, del consumo delle economie domestiche o dell’investimento delle imprese.
In maniera globale, per i governi questa lenta uscita dalla crisi è difficile da gestire e dall’esterno non vi è da attendere nulla di concreto. Anche a livello europeo vige il “ognuno per sè”. Ad esempio chi si ricorda del Patto per la crescita e per l’impiego adottato a Bruxelles nel giugno 2012? Inesistente.

Cinque anni dopo l’inizio della crisi economica il tempo della solidarietà non esiste più da tempo e ognuno lavora per sè, per i propri interessi, spesso senza farsi scrupoli nel rendere più difficile la vita dei vicini.

(Slate.fr/Redazione)