Sul numero 51 di “Sette”, il supplemento settimanale del Corriere della Sera, Aldo Grasso scrive che in Texas è stato creato un sito web che raccoglie le ultime parole dei condannati a morte e che la parola più frequente non è “perdono”, ma “amore”, seguita da “famiglia” e “grazie”.

“Le ultime parole famose” è un corposo registro internazionale di ultime parole pronunciate da personaggi famosi (Famous Last Words) – scrive Grasso – Ultime nel vero senso della parola, perchè pronunciate in punto di morte.
Più si è importanti, più si sente il dovere di lasciare un aforisma in eredità. Vera o falsa che sia l’antica tradizione, il catalogo riempie ormai libri.
Da Saul (1007 a.C.) che, vistosi sconfitto in battaglia, ordina al suo servo : “Sfodera la spada e trafiggimi, prima che vengano quei circoncisi a trafiggermi e a schernirmi”, a Filippide (490 a.C.), inventore della maratona, che porta la buona notizia a Atena prima di schiantare : “Gioite, abbiamo vinto!”.
Da Archimede (212 a.C.) : “Non guastate i miei cerchi”, a Cesare (44 a.C.) che si rivolge al suo più caro congiurato : “Anche tu Bruto, figlio mio”.
Da Francesco Ferrucci che a Maramaldo dice : “Vile, tu uccidi un uomo morto”, a François Rabelais (1553) che chiede un ultimo favore : “Tirate il sipario, la farsa è finita.”
La più dolce è quella di Joe di Maggio : “Finalmente potrò rivedere Marilyn”.

Da un pò di tempo lo Stato del Texas ha messo online un sito, tra il macabro e il commovente, che raccoglie le ultime parole dei condannati a morte (Final Statements).
Per ogni detenuto è presente una scheda nella quale viene spiegato il reato di cui il condannato è ritenuto responsabile, il suo nome, il suo cognome, il numero di matricola, l’età, la sua razza, la data di esecuzione e la contea di provenienza. Se il malcapitato, prima che il boia abbia compiuto la sua funzione, pronuncia qualche frase, la medesima viene riportata per intero.

Qualcuno riesce a dire parole piene di speranza, qualcun altro si proclama innocente, qualcun altro ancora maledice la sorte, i giudici e i carcerieri. Secondo un studio realizzato da uno studioso di linguaggio, Jon Millward e riportato in Italia da Linkiesta, “perdono” non è la parola più frequente.
“Love”, “family”, “thank”, “sorry” e “God” sono nell’ordine i termini più utilizzati dai detenuti a pochi istanti dall’iniezione letale.
Per quanto riguarda le frasi composte da tre parole, invece, la più gettonata è “I love you” (ti amo, ti voglio bene) mentre seguono “”I would like” (vorrei), “I am sorry” (mi dispiace) e “thank you for” (grazie per).
C’è chi, come David Ray Harris, nel 2004 ha dedicato le sue ultime parole agli eroi del 11 settembre. E c’è chi, come Jeffrey Matthews, condannato in Oklahoma, è riuscito persino a fare dello spirito : “Credo che il telefono del governatore sia rotto. Per questo non ha ancora chiamato.”