(fdm) Quando trovai su internet la composizione del Comitato di referendum, ricordo bene che rimasi immediatamente colpito dalla sua debolezza. Pensai: “Come potranno farcela, messi così?” Ancor più, quella (forzata) debolezza costituiva un segnale preciso. Il potere – quello vero, dotato di grandi mezzi, poca nobiltà d’animo e un acuto senso di sopravvivenza – aveva deciso che l’unica via per “vincere” sarebbe consistita nel cedere.

Permettere a un Quadri o a qualche pittoresco “pirata” di rompere le uova nel paniere? Ma vogliamo scherzare?

NOTA. “Vincere” significa nel caso in questione “salvare un pezzetto di pelle”, cavarsela “per il rotto della cuffia”, non farsi rompere tutte le ossa. La dignità sarà recuperata più tardi.


Il referendum contro il Diktat USA Fatca purtroppo non è riuscito.

Non è propriamente una sorpresa: nessuno si faceva soverchie illusioni. Un referendum a livello nazionale non riesce se dietro non c’è una grande associazione o partito, a livello nazionale appunto, che disponga delle risorse finanziarie ed organizzative per mandare in porto la raccolta delle firme. Un gruppo di attori minori, come è accaduto questa volta, non è in grado di sopperire; neanche facendo ricorso alle moderne tecnologie (vedi social network eccetera). A ciò si aggiunge che il periodo natalizio non è certo propizio alla raccolta di firme.

Tutto ciò premesso, bisogna pur dire che, anche se il referendum non è riuscito, il segnale politico dato è forte. Sono state raccolte circa 33mila firme valide. Grazie a tutti quanti si sono impegnati per raggiungere questo risultato. Il Ticino ha fatto la propria parte in modo egregio: con 6500 sottoscrizioni, è stato il Cantone che più ha contribuito. Un bel risultato per quanto, come detto, insufficiente.

Povera Svizzera…

Perché il referendum non è riuscito? Per vari motivi. Innanzitutto il tema, il Diktat FATCA targato USA. Un argomento all’apparenza tecnico, ostico, poco appetibile e poco popolare. In realtà si trattava di un tema cruciale poiché ad andarne di mezzo sono la nostra sovranità e la nostra indipendenza. Se il referendum fosse riuscito, sarebbe stato un altoltà alla politica di svendita del paese su cui un Consiglio federale debolissimo e servile si è ormai irrimediabilmente ripiegato.

Povera Svizzera, ieri fiera delle proprie specificità che venivano rispettate ed invidiate, oggi ridotta, grazie alla ministra del 5% Widmer Schlumpf e compagnia brutta, a serva degli Stati Uniti al tramonto e di una combriccola di paesi europei bancarottieri che vengono in casa nostra ad imporci le proprie leggi. Fino a qualche tempo fa, mai e poi mai simili situazioni sarebbero state tollerate. Oggi sono diventate la normalità.

Silenzio stampa

Pur tenendo in debita considerazione che il tema del FATCA, per quanto importante, non era di immediata comprensione né, di per sé, atto a scaldare gli animi, se il referendum non ha raggiunto le 50mila firme ci sono dei precisi responsabili. A cominciare dal disinteresse dell’UDC a livello nazionale. Poi le grandi banche, che di svizzero non hanno più nulla e che sono più che pronte a sacrificare la “piazza” elvetica senza remore a fronte del risultato economico globale.

Poi gli organi di informazione. A sud delle Alpi, a parte il Mattino della domenica, nessuno ha parlato del referendum. Un silenzio stampa incomprensibile. Così molti cittadini sono rimasti all’oscuro della posta in gioco. Una posta va ben al di là della piazza finanziaria, dei suoi dipendenti e dei suoi introiti fiscali (come se fosse poca cosa…) ma che tocca la sovranità del nostro paese.

La politica dell’autodistruzione “perché bisogna aprirsi” proseguirà, ma il risultato raggiunto dall’eterogeneo comitato promotore del referendum contro il FATCA – vista anche l’esiguità delle risorse in campo ed il disinteresse mediatico in cui si è svolta tutta l’operazione – rimane onorevole. Il numero dei cittadini che si sentono traditi da chi dovrebbe rappresentarli è in crescita. Il 9 febbraio, con l’iniziativa “contro l’immigrazione di massa”, se ne avrà una potente dimostrazione.

Lorenzo Quadri, consigliere nazionale, Lega dei Ticinesi