Debole crescita, acuto deficit, deprezzamento monetario, calo del turismo, aumento della disoccupazione… Tre anni dopo l’inizio della Primavera araba, Tunisia, Egitto, Libia e Siria faticano a tornare alla stabilità economica esistente ai tempi della dittatura.

Non va certo meglio per la stabilità politica. Fra l’ottobre 2011 e il gennaio 2014, la Tunisia è stata sottoposta a tensioni politiche fra islamisti e forze laiche che hanno colpito soprattutto le riforme e l’economia.

In Egitto l’elaborazione di una nuova Costituzione e la preparazione delle prime elezioni democratiche nella storia del paese sono state seguite da una lunga prova di forza fra islamisti e potere militare, che lo scorso luglio aveva portato alla destituzione del presidente Mohamed Morsi, membro della confraternita dei Fratelli musulmani.

La Libia è sprofondata nella violenza. Oggi il paese è diviso in cinque zone controllate da milizie costituite da elementi tribali, mentre le autorità centrali cercano ancora di redigere una Costituzione nazionale e imporre un’unica autorità militare.

La Siria è in preda a una guerra civile che da tre anni oppone il regime del presidente Bachar al Assad ai combattenti dell’Esercito siriano libero e a milizie islamiste, in una guerra dalle diramazioni regionali e internazionali.

Di fronte a questo caos, l’obiettivo del passaggio verso economie produttive e capaci di assorbire una crescente domanda d’impiego sembra essere molto lontano.

Tunisia
I prezzi continuano ad aumentare, l’inflazione è salita dal 3% del 2010 al 6% del 2013. I prezzi del gas e dell’elettricità aumenteranno anche quest’anno, secondo la legge delle finanze attuata di recente dal governo e suscettibile di impoverire ulteriormente la classe media.

Sul piano monetario, negli ultimi tre anni il dinaro tunisino ha subito un forte deprezzamento di fronte a dollaro e euro (rispettivamente -15% e -10%).

Il calo della domanda europea derivante dalla crisi nella Zona euro – primo partner commerciale della Tunisia – ha pesato sulle esportazioni dei beni e dei servizi, il cui volume è progredito solo del 2.5% nel 2013, dopo un calo del 7.7% nel 2011.

Rispetto al 2011, la disoccupazione è leggermente diminuita nel 2012 e 2013, a seguito di un programma di reclutamento nel settore pubblico, ma il tasso dei senza lavoro rimane altro, in particolare per chi possiede un diploma universitario. Il 30% di chi ha concluso gli studi universitari è alla ricerca di un impiego.

Il numero dei turisti in Tunisia è leggermente aumentato nel 2013, raggiungendo 6.3 milioni di visitatori, un aumento del 5% rispetto al 2012, ma comunque un calo del 9.2% rispetto al 2010.

Egitto
Il governo di transizione ha annunciato alla fine di agosto un primo piano di rilancio su nove mesi, a partire da quest’anno, del valore di 3.2 miliardi di dollari finanziato, in parte, da aiuti esteri.
In parallelo, è stato presentato un programma economico e sociale i cui obiettivi sono l’aumento della crescita al 3.5% quest’anno (contro 1.8% l’anno scorso) e una riduzione del deficit pubblico al 10% del Pil e della disoccupazione al 9%, con la creazione di 800.000 nuovi posti di lavoro.

A causa del calo degli investimenti e della chiusura di migliaia di società, il tasso ufficiale della disoccupazione in Egitto ha raggiunto il 13% nel giugno 2013, contro il 9% del 2010, mentre i tassi non ufficiali parlano di una disoccupazione al 20% e a oltre il 40% fra i giovani.

Nel 2010 l’Egitto accoglieva 13,8 milioni di turisti e nel settore del turismo impiegava 3 milioni di lavoratori. Nel 2011, anno della destituzione del presidente Hosni Moubarak, il paese perdeva 2 milioni di turisti, poi 3 milioni nel 2012.
Alcune destinazioni, come Luxor, si sono trasformate in città fantasma. Nel 2013 la situazione è leggermente migliorata, con il numero dei turisti che è salito a 12.2 milioni.

Libia
A oltre due anni dalla morte del colonnello libico Muammar Gheddafi, nell’ottobre 2011, il paese è sempre senza Costituzione e in preda alla violenza. L’attenzione del governo è centrata essenzialmente sui mezzi per ristabilire l’ordine.
Attacchi alle ambasciate, assassinii politici, rapimenti, dimissioni e rimpasti ministeriali, rivendicazioni separatiste, proliferazione delle armi sotto il controllo delle milizie e di gruppi radicali… Questi fattori ritardano la ripresa e il cantiere di riforma economica in uno dei paesi meno avanzati della regione.

La produzione petrolifera, polmone dell’economia nazionale, si sta riavvicinando ai ritmi precedenti la rivolta contro Gheddafi. Grazie alla progressiva ripresa della produzione e dell’esportazione di idrocarburi, l’economia libica sta riprendendo terreno.
Una delle maggiori difficoltà per uno sviluppo durevole risiede nell’assenza di un settore privato generatore di impieghi. L’economia libica si basa essenzialmente sul petrolio, che contribuisce a meno del 5% dell’impiego totale malgrado il suo peso importante per il Pil.
Il settore privato, che genera l’85% dei posti di lavoro, rimane il settore povero dell’economia della Libia.
La disoccupazione, stimata a oltre il 25% della popolazione attiva, rischia di aumentare di molto se non saranno prese misure concrete di diversificazione.

Siria
Di fronte a un sanguinoso conflitto che dura da quasi tre anni, la Siria sta vivendo un periodo economico molto difficile.

Circa 150’000 morti, milioni di rifugiati, esiliati o sfrattati. Oltre a 103 miliardi di dollari persi alla fine del giugno 2013, ossia l’equivalente del 174% del Pil raggiunto nel 2010, secondo un rapporto pubblicato dal Syrian Center for Policy Research in collaborazione con due agenzie delle Nazioni Unite.

Dal marzo 2011, l’economia siriana ha subito un massiccio collasso dell’industria a seguito della chiusura e del fallimento di molte imprese, con una fuga di capitale, razzie e la distruzione di molti siti di produzione.
Oltre a queste perdite, che si cifrano in circa 98 miliardi di dollari, dall’inizio del conflitto vi è stato un aumento di 5.5 miliardi di dollari per le spese militari.

Dall’inizio della guerra, sono stati cancellati almeno 2 milioni di posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione in Siria si situa a oltre il 50%, contro il 9%-15% di prima del conflitto.
Questa massiccia distruzione di impieghi ha provocato un sensibile aumento della povertà. Secondo alcune stime, l’80% della popolazione siriana vive oggi in una situazione di povertà estrema.

(Fonte : Slate.fr)