Arrestato due anni fa, Hashem Shaabani era stato condannato a morte con altre persone a seguito di un processo che i difensori dei diritti dell’uomo avevano qualificato come una farsa.

L’impiccagione di Shaabani è avvenuta lo scorso gennaio, ma la notizia è trapelata sui media occidentali solo dopo la metà di febbraio e non ha mancato di mettere in risalto le persecuzioni contro le minoranze in Iran, oltre a sottolineare quanto sia falso parlare di apertura del regime del nuovo presidente Hassan Rohani.

Hashem Shaabani (nella foto) aveva 32 anni e apparteneva alla comunità araba dell’Iran. Aveva contribuito alla diffusione di una rivista di poesie in arabo. Era anche membro di un istituto culturale per la promozione della letteratura e dell’arte araba.

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Le autorità lo hanno arrestato con l’accusa di “moharabeh”, ossia “guerra contro Dio”. Secondo le accuse, Shaabani avrebbe avuto legami con gruppi separatisti terroristici.
Nel febbraio 2012 era stato trascinato in televisione per una confessione pubblica degli atti di cui era accusato.
Le accuse che gli sono state mosse sono molto comuni in Iran e in realtà vengono usate per mascherare le accuse politiche, in un regime teocratico come quello iraniano. D’altronde era apparso evidente che la sua confessione era stata una forzatura per fargli confessare atti che non aveva commesso.

Hashem Shaabani era di fatto noto per il suo impegno a favore dei diritti dell’uomo. Aveva un blog sul quale difendeva la libertà di espressione.
Citato dal quotidiano britannico The Guardian, Drewery Dyke, esperto dell’Iran per Amnesty international, spiega che l’esecuzione di Shaabani “non può essere isolata dal suo ruolo di professore e poeta, una figura che ha contribuito, in circostanze difficili, a rinforzare una minoranza culturale.”

Dall’arrivo alla presidenza di Hassan Rohani, nel giugno 2013, in Iran sono state impiccate 300 persone, un chiaro segno che, malgrado quanto pensano i paesi occidentali, l’Iran non si sta aprendo alla democrazia e alla libertà d’espressione.
Tutti hanno voglia di credere a un cambiamento, la popolazione iraniana e gli occidentali. Vi sono certamente speranze di un cambiamento economico, con i negoziati in corso, ma nell’ambito politico e sociale vi è poca possibilità di cambiamento, anche per la stessa natura del regime iraniano.

Non va dimenticato che in Iran il potere decisionale è nelle mani dell’Ayatollah Khamenei. Guida suprema della Rivoluzione islamica, Khamenei è il garante della teocrazia e l’incarnazione del rifiuto del cambiamento. Le sue reazioni spesso alterano le azioni del presidente Rohani.