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Pubblicato nel GdP, riproposto con il consenso dell’Autore

Pamini z Quote rosa. Quali i reali effetti per il gentil sesso? Lunedì la Commissione federale per le questioni femminili (“CFQF”) si è pronunciata per l’introduzione nella legislazione di quote femminili nelle società quotate sulla borsa svizzera, le imprese pubbliche e quelle con più di 250 dipendenti. Entro 10 anni, almeno il 40% dei consiglieri d’amministrazione ed un terzo dei direttori generali dovranno essere donne, pena rigorosi controlli e severe sanzioni.

In effetti, l’attuale presenza di donne nelle alte sfere economiche è ben bassa. Le ragioni possono essere cercate solo in due ambiti: non è possibile nominare dirigenti donne, oppure non lo si vuole fare. In Svizzera, al contrario di altre zone del mondo, è difficile sostenere che le donne non abbiamo di principio la possibilità di accedere a posizioni dirigenziali, nel senso che vi siano barriere che vietino accordi in tal senso. Lo dimostra il fatto che già oggi abbiamo consigliere d’amministrazione, direttrici, consigliere federali, ecc. Pertanto, l’assenza di donne nelle alte sfere è unicamente dovuta alla insufficiente volontà in tal senso. Più precisamente, la mancante volontà può essere quella di qualunque controparte, ossia dell’impresa ma pure della donna stessa, che in piena coerenza con la sua biologia ed istinti potrebbe più spesso liberamente preferire la dedizione verso i suoi figli anziché verso la carriera dirigenziale.

Le quote rosa proposte dalla CFQF sono necessariamente coercitive e lesive della libertà di contrattazione, pertanto fondamentalmente ingiuste ed immorali, proprio perché la bassa rappresentanza femminile è frutto di decisioni volontarie (delle donne stesse o delle imprese) e non di impedimenti legali o istituzionali alla nomina di donne.

Questo non significa che più donne nelle alte sfere non siano desiderabili, bensì che una loro forzatura al di là di scelte spontanee possa risultare in effetti dannosi… per le donne stesse. Un esempio illustra il problema: se all’aeroporto poteste scegliere tra due aeroplani, uno con un comandante uomo e uno con una comandante donna, fareste bene a scegliere il secondo, perché in un contesto lavorativo maschile una donna che ha tuttavia conseguito quella posizione avrà con buona probabilità capacità ben sopra la media. Nello stesso contesto tuttavia, se la CFQF fosse riuscita ad imporre quote rosa nell’aviazione, fareste bene ad evitare l’aereo pilotato da una donna potenzialmente scelta per il suo sesso e non per le sue capacità reali.

Questo era l’esempio politicamente corretto che la teoria economica offre contro le quote di qualsiasi genere. Quello storico reale invece, documentato empiricamente, fu la massiccia perdita di pazienti sofferta dai medici neri americani (i medici erano tipicamente bianchi) dopo l’introduzione di quote razziali con l’illusione di favorire l’affrancamento dei primi. Dal giorno alla notte, un nero con un camicie non era più un segnale di eccezionale bravura.

In conclusione, se la proposta della CFQF si concretizzasse, è verosimile attendersi che buona parte delle nuove consigliere d’amministrazione non sarà presa sul serio. L’alternativa è semplicemente non far nulla: già oggi le università hanno più studentesse di studenti, e se queste davanti al tenero sguardo dei propri neonati decideranno di non ritirarsi volontariamente dal mercato del lavoro, saremo presto a chiederci se servano quote azzurre.

Paolo Pamini, AreaLiberale e Istituto Liberale