“Come reinserire il djihadista svizzero ? – s’interroga il quotidiano romando Le Matin mercoledì 9 aprile, aggiungendo che il giovane uomo “avrebbe vissuto in una casa insieme ad altri combattenti pronti a farsi saltare in aria per farla finita con il regime di Al Assad in Siria”

Invece sul quotidiano le Temps l’interessato (vallesano, di buona famiglia, dopo essersi convertito all’Islam ha passato tre mesi da djihadista in Siria) assicura di essere una sorta di vittima e di non aver preso parte a nessun combattimento.
In poche parole si tratterebbe di un poveretto, ex militante socialista, troppo giovane, troppo fragile, indottrinato senza che nemmeno se ne fosse accorto.

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Dopo il suo rientro in Svizzera, il giovane è stato accusato di sostegno ad un’organizzazione terroristica ma non viene sottoposto a nessuna misura di sorveglianza particolare.

Diversi esperti di antiterrorismo si dicono molto sorpresi da questa libertà di movimento e del silenzio delle autorità svizzere. Una discrezione che potrebbe nascondere un malessere.

Secondo Stéphane Lathion, specialista di Islam in Europa, la società e le comunità musulmane non sanno cosa fare per favorire lo sradicamento dei djihadisti che fanno rientro al paese d’origine.

“Per un giovane che ritrova un ambiente favorevole, come qui, possiamo sperare che il reinserimento si svolga bene. Ma nel caso di una persona che torna in un quartiere difficile, con genitori che non parlano bene la lingua, senza prospettive professionali, avremo situazioni esplosive – commenta Lathion.
A suo dire, alternative pacifiche dovrebbero essere proposte a questi ex combattenti, per canalizzare la loro sete di giustizia, ad esempio attraverso organizzazioni umanitarie.

La comunità musulmana sembra molto divisa circa l’efficacia delle misure di reinserimento.
“La Siria è in guerra, non vedo proprio cosa un’associazione possa fare contro Bachar al Assad – dice Pascal Gemperli, presidente dell’Unione vodese delle associazioni musulmane – Da tre giorni vedo grandi titoli sui giornali su un giovane che è andato a combattere contro un dittatore. Se non vi è violenza contro i civili non vedo il problema.”

Una linea di pensiero che non fa l’unanimità. L’Imam della moschea di Losanna, Mouwafak el-Rifaï, considera che vi sono una responsabilità e un ruolo da tenere nei confronti dei giovani.
“Li metto in guardia tutti i venerdì – commenta, precisando che non è un caso se la sua moschea ha deciso di non far parte dell’Unione vodese delle associazioni musulmane : “Questa associazione comporta membri molto radicali che sono un pericolo per la gioventù musulmana e la Svizzera.”

(Fonte : Le Matin.ch)