Se confrontata agli altri paesi dell’OCSE, la radicalizzazione estremista in Svizzera rimane debole. Ma diversi casi di giovani svizzeri adepti del djihad ne hanno fatto un tema di discussione prima della conferenza di Interlaken (BE).

A questi uomini non viene applicato lo statuto di terroristi e si pone soprattutto la questione della loro reintegrazione nella società svizzera.

“Si deve fare attenzione. Per la Svizzera è un problema relativamente nuovo – ha indicato il presidente della Confederazione Didier Burkhalter – Quando la situazione lo permette, si deve valutare come reintegrare al meglio queste persone.”

Secondo il Centro internazionale di studio sulla radicalizzazione, basato a Londra, dal marzo 2011 sono migliaia i “combattenti stranieri” che hanno raggiunto il conflitto in Siria.

“Gli occidentali vanno in Siria per combattere contro il regime del presidente Bachar al-Assad, ma spesso i guerriglieri siriani non li vogliono – sottolinea il direttore del centro di Londra, Peter Neumann.

Secondo i servizi d’informazione della Confederazione, da 15 a 20 svizzeri si sono recati combattere in Siria. Fra questi vi erano anche un paio di cristiani desiderosi di difendere la loro comunità, minoritaria nel paese.

In un recente rapporto, il Politecnico di Zurigo ha evocato diverse migliaia di simpatizzanti degli ambienti radicali islamici in Svizzera. Di questi però solo poche decine sono considerati effettivamente estremisti islamici.

Quando i combattenti rientrano, le autorità devono valutare se sorvegliarli, se perseguirli penalmente oppure se reintegrarli.
Per gli individui considerati pericolosi è necessaria una sorveglianza permanente da parte di 10-12 persone.
In effetti “gruppi islamisti in Siria reclutano e formano americani e altri occidentali perchè commettano attentati nei loro paesi – secondo la specialista di terrorismo presso il Centro di studi di politica della sicurezza di Ginevra, Christina Schori-Liang.