Sì ad un Quantitative Easing Europeo, a patto che si acquistino titoli cartolarizzati provenienti da crediti alle imprese

Lo spettro dell’inflazione negativa, ora allo 0.5% sui 12 mesi, preoccupa sempre di più l’Eurozona caratterizzata da basso PIL (0.2% ultimo trimestre 2013) e disoccupazione al 12%. Tra i possibili scenari, anche quello di una lunga stagnazione.

I tassi di rifinanziamento sono però ai minimi storici (0.25% sulle Operazioni di Rifinanziamento Principali) e le riserve in eccesso delle banche non sono più nemmeno remunerate (pavimento del corridoio allo 0%). Inoltre a cavallo del 2011 e del 2012 la BCE ha accreditato 1’000 miliardi di Euro al sistema bancario con due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long Term Refinancing Operation, tre anni). Ora la liquidità in eccesso è diminuita e si attesta a 124.3 miliardi di Euro, a causa dei rimborsi anticipati. I mercati chiedono un’ulteriore boccata di ossigeno alla BCE e Draghi lascia apertamente spazio ad ulteriori misure non convenzionali, quali un potenziale Quantitative Easing (acquisto di titoli da parte della BCE), che rederebbe più liquidi gli attivi delle banche.

L’ondata di liquidità delle LTRO non si è trasforma in prestiti alle imprese (-3% di prestiti a società non finanziarie su 12 mesi). Proprio per questo c’è bassa inflazione (non considerando il calo dei prezzi dell’energia). Il moltiplicatore monetario che si studia nei libri di testo non trova quindi assolutamente riscontro con quanto accade nel mondo reale: un aumento delle riserve – di riflesso della base monetaria – non coincide con un contestuale aumento di prestiti. Per aprire una linea di credito non necessariamente la banca deve procedere a una raccolta corrispondente. In effetti l’importo può essere messo a disposizione del cliente tempestivamente e solo al momento dell’effettivo utilizzo la banca deve approvvigionarsi. Quando poi famiglie e imprese attingono ai fondi disponibili la BCE accredita le riserve necessarie alla banca. Sono i prestiti utilizzati a trasformarsi successivamente in depositi (teoria della moneta endogena). I prestiti creano la necessità di più riserve, non viceversa. Le banche centrali non sono quindi in grado di prevedere la velocità di circolazione della moneta come nemmeno di influenzare tutti gli aggregati monetari.

La spesa pubblica è una leva che non conosce mediazioni per fare in modo che i fondi stanziati vengano realmente immessi nell’economia. In questo senso essa contribuisce a creare depositi.

Il prestito bancario non dipende dalla liquidità ottenuta sul mercato interbancario o dalla BCE, bensì da scelte ponderate al rischio d’investimento. Ora c’è una chiara preferenza da parte delle banche a detenere liquidità non remunerata o ad investirla nei mercati finanziari, piuttosto che fornire capitale alle imprese al 4 – 7 %.

Se davvero la BCE intende agire in modo efficace con un nuovo QE, al posto di limitarsi all’acquisto di titoli di Stato (che susciterebbe qualche dubbio legale legato alla monetizzazione dei deficit pubblici), dovrebbe concentrarsi su quello dei privati. Altrimenti il risultato sarebbe “solo” quello di facilitare le condizioni finanziarie esistenti ri-bilanciando il portafoglio delle banche. Non dimentichiamo che i miglioramenti relativi a riduzione della disoccupazione e rilancio del PIL in USA non sono necessariamente tutti da attribuire alla politica monetaria applicata dalla FED, poiché, al contrario dell’Eurozona, gli Stati Uniti hanno potuto mantenere una politica di bilancio dello Stato molto più accomodante rispetto al Fiscal Compact europeo, notoriamente ben più rigido. Acquistando però titoli privati, la BCE si accollerebbe il rischio d’insolvenza delle imprese non finanziarie, inoltre ciò equivarrebbe solo al 6.5% di tutto il “debito” dell’Eurozona.

Allora cosa acquistare per rendere il QE efficace?

Anche in assenza di liquidità extra o depositi, una banca è libera di concedere prestiti e anche di monetizzarli immediatamente grazie all’emissione degli Asset Backed Securities (titoli garantiti da attivi bancari come prestiti o mutui). Se quindi la BCE scegliesse di acquistare questi titoli, la massa monetaria accreditata dalla BCE corrisponderebbe a quella immessa nel sistema economico reale.

Gli Asset Backed Securities ora in circolazione raggiungono il valore di 716 miliardi di Euro ma 300 di questi sono già dati in garanzia alla BCE come collaterale. Un Quantitative Easing così specifico deve muoversi contestualmente al rilancio delle cartolarizzazioni dei crediti alle PMI da parte delle banche. L’intendo di BCE e BoE è di rimodellare e ridurre i requisiti patrimoniali delle banche per consentire un utilizzo più efficace di questi strumenti.

Condizione perché quanto sopra possa essere realizzabile, è uno stato di salute accettabile della banca, ossia una struttura di bilancio che le consenta di potere di nuovo accettare attivi rischiosi da ponderare adeguando il capitale proprio.

Un ulteriore abbassamento del corridoio dei tassi sarebbe un’altra operazione non convenzionale attuabile che imporrebbe alle banche di “pagare” un tasso di interesse sulle riserve in eccesso depositate presso la BCE. Anche tassi interbancari si ridurrebbero, costringendo una banca a pagare per prestare le proprie riserve ad un’altra. Questo è associabile in tutto per tutto a una tassa che diminuirebbe l’utile ed eroderebbe il capitale delle banche. Non stimolerebbe l’erogazione di prestiti poiché questi ultimi dipendono dalla qualità del debitore e dal margine di utile atteso.

Nel breve periodo dovremo comunque assistere ad una presa di posizione ferma sugli strumenti attuativi da parte della BCE e sapremo così quali saranno le misure non convenzionali cosi tanto discusse e studiate dall’Istituto di Francoforte.

Luca Stinca, economista